Finalmente una Piê per tutti. Completata la digitalizzazione della storica rivista romagnola

Più di 600 fascicoli, per un totale di circa 25.000 pagine, sull'archivio digitale de Il Nuovo Diario Messaggero. Il commento di Antonio Castronuovo, direttore della rivista dal 2004 al 2018

Nel nostro archivio digitale la rivista che dal 1920 promuove la “romagnolità”: La Piê. Il Nuovo Diario Messaggero ha infatti completato l’opera di digitalizzazione della rivista nata per volontà di Aldo Spallicci, Antonio Beltramelli e Francesco Balilla Pratella. Un pezzo di storia della Romagna, oggi accessibile a portata di click per gli abbonati al nostro servizio di archivio storico digitale. Di seguito il testo scritto per l’occasione da Antonio Castronuovo, ultimo direttore della rivista dal 2004 al 2018. Per collegarti al nostro archivio: https://archivio.ilnuovodiario.com/ndm/, per saperne di più scrivi a abbonamenti@nuovodiario.com o 0542-22178.

Messaggio promozionale

La digitalizzazione completa della rivista La Piê, promossa e attuata dall’Editrice Il Nuovo Diario Messaggero di Imola, è per la Romagna – e non solo – un evento di cultura da salutare con orgoglio. Impulso emotivo correlato al fatto che negli ultimi vent’anni ho sentito annunciare più d’una volta da qualche istituto la realizzazione del progetto: rendere disponibile in formato elettronico la più antica rivista divulgativa di cultura regionale (ma restando alla tipologia, anche tra le più antiche d’Italia), cosa mai portata a compimento. Che io sappia, esistono digitalizzazioni parziali (le prime quattro annate, 1920-1923, sono ad esempio accessibili mediante la voce wikipedia dedicata alla rivista); esistono alcuni indici degli articoli contenuti nella rivista, ma nessuno aveva portato a termine questa gigantesca impresa. Il cui grande pregio culturale non si limita alla pure utilissima digitalizzazione della rivista, ma anche (e soprattutto) offre la possibilità di effettuare ricerche per parola chiave, per stringhe di parole, sondando così in pochi clic il maremagnum romagnolo de La Piê, con possibilità inoltre di svolgere tali ricerche simultaneamente su altre riviste locali.
Ho detto che l’impresa è “gigantesca” perché, fondata nel 1920 e cessata alla fine del 2018, La Piê conta più di 600 fascicoli, per un totale di circa 25.000 pagine, facciata più facciata meno. Provate a pensare cosa significa scansionare in alta qualità (perché di questo stiamo parlando) tutte quelle pagine… Ma come si suol dire, qualcuno prima o poi doveva farlo. Per la semplice ragione che la rivista è stato un mezzo di straordinario valore culturale, un rigoglioso supporto di materiali storici e iconografici, strumento di conservazione e divulgazione della cultura locale: come disse una volta argutamente don Francesco Fuschini – amatissimo scrittore di area ravennate – una vera «enciclopedia umanistica della Romagna».
Naturalmente scrivo tutto questo con un certo trasporto perché ho avuto la ventura di esserne l’ultimo direttore, dal 2004 al 2018, quindici anni in cui, oltre a gestire una rivista (lavoro complicato di per sé: provate a tenere a bada un recinto di collaboratori d’irritabile sangue romagnolo…), ho assimilato i fondamenti della cultura “nostrana”, ho conosciuto e frequentato gli uomini di cultura delle tante città poste nel fatidico quadrilatero disegnato da Giannetto Malmerendi sulle tovagliette di carta usate nelle osterie della profonda Romagna, ho coltivato rapporti umani assai positivi, e qualcuno anche negativo, ma per maturare tutto fa brodo.

Un po’ di storia
Per chi non lo sapesse: La Piê nacque a Forlì nel 1920, fu soppressa dalle autorità fasciste nel 1933 per il troppo flebile “nazionalismo”, riaprì i battenti nel 1946 ed è riuscita a restare in vita senza pause e con qualche ondeggiamento fino al 2018. Negli ultimi quindici anni la redazione si era trasferita presso la Editrice La Mandragora di Imola, dove appunto m’invitarono a dirigerla: ancor oggi mi chiedo quale curioso impeto mi fece dire «sì» quel giorno, io che di Romagna ne sapevo ben poco. Diciamo che ho imparato «strada facendo», che insomma questa esperienza è stata per me come andare a scuola. E forse lavorare e al contempo apprendere è il modo migliore per preservare l’entusiasmo.
Come infatti non manifestare entusiasmo di fronte a uno strumento pieno di notizie e di immagini? Una rivista il cui titolo, di sonorità rustica, non rende giustizia alla sostanza delle pagine: La Piê nacque una sera del 1919 su volontà di Aldo Spallicci (1886-1973, il principale promotore: medico di singolare vocazione letteraria), Antonio Beltramelli e Francesco Balilla Pratella, scrittori e intellettuali di diversa estrazione che, battezzando la rivista col nome dell’antico pane azzimo romagnolo, traendone il termine da un poemetto di Pascoli, vollero alludere al messaggio umanistico che può affiorare dalla storia di una terra. La rivista ebbe insomma fin dall’inizio un fondo intellettuale che manifestò nel proprio stile: illustrare i diversi aspetti della cultura regionale mediante un criterio narrativo.
Da quel momento – e pur con qualche difficoltà di rapporto con lo spicchio di estrazione accademica della locale intellettualità – la rivista attraversò storia e caratteri della regione mediante contributi di diversa natura: studi colti, articoli, divagazioni, poesie, cronache, narrazioni. Materiale realizzato da una vasta squadra di collaboratori, tra cui ottime firme: lo stesso Spallicci, Luciano De Nardis, Rino Alessi, Rezio Buscaroli, Bruno Corra, Cesare Martuzzi, Marino Moretti, Alfredo Panzini; e poi storici del calibro di Delio Cantimori e Luigi Lotti, il grande medievista Augusto Vasina, il filologo Augusto Campana, l’italianista Mario Pazzaglia (fui io stesso a invitarlo). Negli ultimi decenni – parte dei quali ho sperimentato di persona – la rivista si è profilata come un circolo di letterati che nutrivano il piacere della cultura, con lo sguardo all’idea programmatica delle origini: raccontare una regione in maniera nuova, ma senza accantonare lo spirito della tradizione. Certo, l’imperfezione di fondo fu proprio questa: che una cultura che si voleva diretta al popolo veniva fatta da persone di estrazione borghese, ma il risultato che La Piê ha complessivamente ottenuto – tenere acceso un faro di cultura – fa perdonare ogni manchevolezza. E pur passibile di rimbrotto aggiungo: ce ne fossero oggi di cose così…

Letteratura, studi etnologici e arte
In ogni caso La Piê ha avuto un primato: è stata negli anni Venti del Novecento la sede italiana in cui è apparso il maggior numero di studi etnologici. Ma se la ricchezza dei contenuti è innegabile, la rivista diventò anche sede d’espressione degli xilografi: suo carattere tipico fu infatti l’incisione lignea originale che apparve per vari decenni in copertina. Non fu nemmeno difficile trovare collaboratori: una larga schiera di ottimi incisori era attiva in Romagna, e tra loro Gino Barbieri, Giuseppe Ugonia, Francesco Nonni, Giannetto Malmerendi, Antonello Moroni, solo per citare i principali.
La Piê ha chiuso i battenti quasi centenaria, ma costituisce una viva testimonianza di come la storiografia locale possa produrre strumenti di valore, anche esteticamente attraenti, come dimostra la collezione cartacea della rivista, oggi abbastanza ricercata, specie se completa di quelle xilografie che nei primi anni la direzione donava agli abbonati.
E adesso, al di là di ogni passione di natura collezionistica, la rivista è offerta a tutti coloro che abbiano acceso un abbonamento digitale a Il Nuovo Diario Messaggero, con una osservazione aggiuntiva: essendo abbonate molte biblioteche del territorio, si potrà consultare la rivista anche mediante quei servizi pubblici. E quel che si consulterà sarà un prodotto di alta qualità tecnologica: ben leggibile, sfogliabile, con funzioni di ingrandimento delle singole frasi e di localizzazione di singoli nomi. Insomma: una realizzazione di pregio. Che fa piazza pulita, una volta per tutte, di chi considera Imola lembo estremo della Romagna: si possono fare ottime cose anche a ridosso dei confini. L’Editrice Il Nuovo Diario Messaggero ne ha dato una ulteriore rilevante prova: merita pertanto il plauso e la gratitudine non solo dei romagnoli, ma di ogni studioso e cultore degli studi etnografici, storici e letterari.

Antonio Castronuovo
già direttore della rivista La Piê


© Riproduzione riservata

Messaggio promozionale
Pubblicità