Editoria, il colpo di mano sul Fondo per il pluralismo

Editoriale. La Fisc: «Il sottosegretario Barachini inonda di soldi i grandi giornali togliendoli ai piccoli editori no profit. Intervenga il presidente Mattarella»

Siamo su una deriva che, nata come emergenza eccezionale in tempi di Covid (tanto che le misure in questione vanno sotto il nome di Fondo straordinario per l’editoria), e con i governi di Lega e 5 Stelle, è continuata poi sotto il governo tecnico di Mario Draghi (sostenuto da tutti i partiti ad eccezione di Fratelli d’Italia), e si sta addirittura stabilizzando e aumentando oltre misura per diventare strutturale con il Governo di centrodestra di Giorgia Meloni. Il sottosegretario Barachini ha proclamato pubblicamente che il Fondo straordinario sarà prorogato anche negli anni successivi e dotato persino di maggiori risorse, con il plauso esultante dei giornaloni. E sarà prorogato anche il sistema con cui questo Fondo straordinario viene distribuito ai grandi giornali: cioè non con criteri certi e prefissati dal Parlamento, ma con provvedimenti spot decisi di volta in volta dal Governo, a propria discrezione. L’esempio più eclatante è di poche settimane fa. Si è detto che dal credito di imposta per i costi della carta e della distribuzione sono stati esclusi i giornali no profit che già incassano il contributo diretto per l’editoria. Ma il Fondo straordinario prevedeva anche altri aiuti: uno in particolare era un contributo premiale di 5 centesimi a copia cartacea venduta. Misura che è stata aumentata per il 2022 a 10 centesimi a copia.

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Il decreto di attuazione nulla diceva di eventuali divieti per categorie di editori, e nel silenzio della norma si riteneva che questo premio valesse anche per i giornali no profit. Ma il fondo straordinario non è illimitato: ha un plafond oltre il quale non si può andare, e se gli aventi diritto superano questo tetto, i contributi vengono distribuiti in maniera proporzionale. C’era insomma il rischio che i grandi giornali, che di copie ne vendono decine di milioni l’anno, dovessero dividere la torta con i piccoli giornali locali. Non sia mai detto. È quindi intervenuto il sottosegretario Barachini. E con un nuovo Dpcm, a fine estate, ecco che spunta la norma “ammazza-poveri”: dai 10 cent a copia vengono esclusi gli editori no profit.

Milioni di euro per Urbano Cairo e la famiglia Agnelli-Elkann
Rcs – Corriere della Sera, controllata da Urbano Cairo tramite la Cairo Communication (che a sua volte edita altri periodici e per questi prende altri contributi), il Fondo straordinario per l’editoria ha regalato 2 milioni e mezzo di euro nel 2020 (contributo sulla carta), 9 milioni nel 2021 (1,7 per la carta e 7,3 per la distribuzione) e quasi 5,2 milioni nel 2022 (per la sola carta). Un totale pari a 16 milioni e 700mila euro. E Rcs è un gruppo florido già di suo. Ha chiuso il bilancio 2021 con un utile di 72,4 milioni (ma sarebbero stati 9 di meno senza gli aiuti di Stato) e il bilancio del 2022 con un utile di 50 milioni (di cui 5,2, ovvero più del 10%, grazie al regalino del Governo). Interessante notare che questi utili sono stati ripartiti come dividendi tra gli azionisti, che nel 2022 si sono portati a casa 0,06 euro per ogni azione posseduta.
Altrettanto importanti sono gli aiuti dati all’altro più grande editore italiano, ovvero il gruppo Gedi, proprietario di RepubblicaLa Stampa e Il Secolo XIX, oltre che di svariate testate locali e qualche radio. Il gruppo, suddiviso in varie branche e società, è sotto il totale controllo della Exor, la holding della famiglia Agnelli-Elkann (peraltro nemmeno italiana, visto che ha sede in Olanda). Ebbene, le due principali branche del gruppo Gedi (la Gedi News Network Spa e la Gedi Gruppo Editoriale) hanno attinto dal Fondo straordinario per l’editoria 2 milioni e mezzo di euro nel 2020 (2,3 per la carta e il resto per i servizi digitali), 9,4 milioni nel 2021 (1,8 per la carta e 7,6 per la distribuzione) e 4,5 nel 2022 (solo per la carta). Totale del regalo alla controllata della holding olandese di casa Agnelli-Elkann: 16,4 milioni di euro. Anche in questo caso si tratta di cifre che hanno avuto un impatto notevole sui bilanci del gruppo. Si pensi che nel 2021 la Gedi ha registrato un rosso di ben 50 milioni, che sarebbe stato più profondo di oltre 9 milioni senza l’aiuto dello Stato, mentre nel 2022 ha finalmente registrato un utile di bilancio, pari a circa 2 milioni di euro, per la prima volta dopo sette anni di disavanzi costanti: un utile che per la Gedi è pari a meno della metà di quanto incassato dallo Stato quello stesso anno. Il che vuol dire che senza il Fondo straordinario per l’editoria il gruppo avrebbe chiuso il bilancio in rosso per l’ottavo anno di fila.

Il risultato finaledi questa storia qual è?
Che oggi i giornali no profit godono ogni anno dei soli contributi diretti del Fondo per il pluralismo, per complessivi 80-90 milioni di euro, esattamente come ce li avevano nel 2018 o nel 2019, prima che il mondo e l’economia andassero a rotoli. E questo Fondo oggi è persino a rischio, minacciato dalla diminuzione del canone Rai, che lo finanzia in parte, e dalla conseguente alzata di scudi dei vertici della tv di Stato che chiedono di lasciare questi soldi nelle loro casse.
Invece tutti gli altri giornali, quelli editi da società per azioni e dalle grandi famiglie imprenditoriali del Paese, si spartiscono la bellezza di 140 milioni, senza alcun controllo sull’uso che ne faranno e senza alcun divieto di portarseli a casa sotto forma di utili di bilancio e conseguenti dividendi. Soldi che l’anno prossimo saranno anche di più. Senza calcolare poi gli altri aiuti per i prepensionamenti e gli ammortizzatori sociali che i grandi editori attingono dal Fondo per il pluralismo.
Si dirà: e vabbè, anche i grandi editori subiscono gli effetti della crisi economica e hanno bisogno del sostegno pubblico per sopravvivere. Vero. Giusto. Ma perché soltanto loro, e non anche i piccoli editori no profit (cooperative ed enti morali)? Mistero.

Le associazioni di editori no profit in rivolta
Non sorprende, dunque, che i malumori nelle associazioni di categoria che rappresentano le aziende del settore siano tanti, specialmente dopo il discusso Dpcm che a settembre scorso ha scippato agli editori no profit anche i pochi spiccioli (se paragonati alle cifre di cui sopra), dei 10 cent a copia venduta.
Eugenio Fusignani, presidente di Culturalia, il settore di Agci che si occupa di editoria, e della confederazione tematica delle tre grandi centrali di cooperative italiane Aci, “Alleanza delle Cooperative Italiane”, la spiega così: «Le preoccupazioni crescono a causa dell’atteggiamento del Sottosegretario verso l’editoria cooperativa e non profit in Italia. Inizialmente c’erano rassicurazioni sul suo impegno a preservare la libertà e l’autonomia degli editori puri come le cooperative giornalistiche. Tuttavia, negli ultimi mesi, tutte le misure sono state rivolte ad incrementare le risorse destinate ai grandi gruppi editoriali, limitando al massimo, ed addirittura escludendo da diversi tipi di intervento, le cooperative e le imprese non profit». E c’è un novità degli ultimi giorni, aggiunge Fusignani: «Nella finanziaria il Governo ha presentato una vera e propria riforma dell’editoria che il Parlamento è tenuto praticamente ad approvare senza alcuna discussione di merito. Una riforma che non contiene mai il termine cooperativa giornalistica, impresa senza fine di lucro, una riforma lontana da qualsiasi volontà di preservare l’autonomia dell’informazione dagli interessi dei grandi gruppi economici del Paese. Una riforma pensata per tutelare le imprese di maggiori dimensioni. Ma la cosa che più ci lascia sconcertati è che la riforma dell’editoria viene completamente delegata al Governo, escludendo il Parlamento da qualsiasi discussione o dibattito su un tema centrale per la democrazia: il pluralismo nell’informazione. La delusione è ancora maggiore vista la sensibilità che questo Governo aveva sempre dimostrato per l’editoria cooperativa, non profit e di prossimità».

«Da un anno si è aperta un’interlocuzione con il nuovo sottosegretario all’Editoria Alberto Barachini ma di risultati concreti ancora non se ne vedono», lamenta delusa anche Giovanna Barni, presidente nazionale di CulTurMedia, la sezione di Legacoop specializzata in editoria. «Colpisce che mentre si erogano risorse sempre più ingenti a favore dei giornali editi da grandi editori e da società quotate in Borsa, che distribuiscono utili agli azionisti e quindi anche parte dei contributi percepiti, si continuano ad attaccare e a penalizzare le cooperative di giornalisti e i giornali non profit. Alla crisi strutturale dei giornali si sono aggiunti, negli ultimi anni, prima la pandemia da Covid, poi la crisi internazionale con la guerra in Ucraina e un aumento più che raddoppiato del costo della carta da giornali. Ora, se il Governo riconosce che la crisi c’è, questa vale per tutti, specie per l’editoria cooperativa, minacciata da tagli e tentativi di cancellazione. Purtroppo gli interventi a sostegno dell’editoria cooperativa al momento sono fermi al palo e non è ancora stata cancellata la minaccia che prevede la progressiva riduzione dei contributi fino al loro azzeramento. Non è accettabile che a fronte di una crisi che investe tutto il comparto si discrimini una parte».

Molto amareggiato è anche il commento di Roberto Paolo, presidente della File (Federazione Italiana Liberi Editori): «Il sottosegretario Barachini si è insediato un anno fa. Ci siamo presentati subito, presentammo una piattaforma di proposte sui contributi diretti all’editoria che potesse servire da base di discussione per un confronto. Da un anno aspettiamo di incontrarlo ma non risponde ai nostri solleciti. Sarà troppo impegnato. A fare cosa non è dato sapere, visto che non ha avanzato uno straccio di idea sull’argomento. Ma è grave che nei giorni scorsi, senza confrontarsi con nessuno degli stakeholder, Barachini abbia proposto un articolo nella legge di bilancio che in sostanza delegifica la disciplina del settore, sottraendo al Parlamento la competenza sulla delicatissima materia del pluralismo e rimandando invece, da qui in poi e per sempre, la regolamentazione dei contributi all’editoria al Governo di turno, che potrà agire con propri regolamenti senza passare per i rappresentanti dei cittadini. È un colpo di mano ai limiti della legittimità costituzionale, su cui ci auguriamo intervenga per sventarlo il Presidente della Repubblica, da sempre attento custode dei valori del pluralismo e della democrazia».

Perché escludere i giornali no profit?
Protesta anche Chiara Genisio, vicepresidente della Fisc (Federazione italiana settimanali cattolici): «Per rispondere alla crisi che sta vivendo il comparto, il Governo interviene giustamente con un Fondo straordinario per sostenere il settore, ma esclude i giornali no profit e le cooperative dei giornalisti che percepiscono il contributo in base alla legge 198 del 2016. Una scelta incomprensibile, considerato che il Fondo ordinario serviva proprio per offrire pari opportunità, che ora vengono meno per via dell’aiuto straordinario rivolto ai grandi editori. Nei primi mesi di governo il sottosegretario all’Editoria, Alberto Barachini, aveva offerto grande disponibilità all’ascolto e a sostenere la nostra informazione più “di prossimità”, ma a quelle promesse nei mesi seguenti non sono seguite risposte e nuove proposte. Confidiamo che questo atteggiamento sia superato e si apra una stagione di dialogo costruttivo per proseguire a sostenere i nostri giornali che, come ha rimarcato il presidente Mattarella, hanno anche come ruolo quello di “stimolare nei nostri concittadini la capacità critica degli avvenimenti e il senso di comunità, senza il quale un Paese non è più tale”».
Insomma, la luna di miele dei piccoli editori puri con il Governo Meloni sembra davvero finita.

Federazione italiana settimanali cattolici


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