Bernardo Baldazzi, anni 21. Dante Bernardi, anni 19. Gaetano Bersani, anni 36. Duilio Broccoli, anni 25. Antonio Cassani, anni 35. Guido Facchini, anni 49. Mario Felicori, anni 26. Paolo Filippini, anni 17. Cesare Gabusi, anni 37. Secondo Grassi, anni 20. Ciliante Martelli, anni 19. Mario Martelli detto Pablo, anni 24. Corrado Masina, anni 23. Domenico Rivalta, anni 34. Giovanni Roncarati detto Ali Babà, anni 22. Augusto Ronzani, anni 27. Sono i sedici uomini che i membri della Brigata nera prelevano dal carcere della rocca di Imola nella notte tra il 12 e il 13 aprile 1945 – la notte precedente la liberazione della città – e conducono alla periferia, nello stabilimento ortofrutticolo Becca. Lì, dopo averli ulteriormente torturati e seviziati, li uccidono a raffiche di mitra per poi gettarne i corpi nel pozzo artesiano dello stabilimento. I fascisti (insieme a un commando delle SS) faranno poi saltare la parte superiore del pozzo, così da farla crollare sui cadaveri e occultarli. Le vittime saranno ritrovate (mutilate e sfigurate) il 15 aprile 1945.
Trentadue giorni dopo, il 27 maggio 1945, i partigiani prelevano dal carcere di Verona alcuni componenti delle Brigate nere di Imola per portarli in città perché venissero giudicati per i crimini commessi durante il conflitto appena concluso. Ma, all’altezza di via Aldrovandi, non lontano dalla caserma dei carabinieri, una folla di uomini e donne assalta il camion che trasporta i prigionieri. Dodici di loro, ritenuti responsabili dell’eccidio di pozzo Becca, sono linciati e uccisi per vendetta: Pietro Trerè, Giuseppe Trerè, Luigi Cornazzani, Francesco Fedrigo, Ilario Folli, Augusto Baldini, Aniceto Bertozzi, Giovanni Caola, Francesco Mariani, Giulio Masi, Mario Minardi, Federico Ravaioli.
Il giorno prima (il 26 maggio) sei familiari di fascisti imolesi – Iride Baldini, Alessandro Baldini, Luciana Minardi, Giuliano Ferri, Speranza Ravaioli e Amleto Tarabusi – sfollati nell’ex asilo infantile a Cologna Veneta, erano stati prelevati dai partigiani e uccisi sulle sponde del fiume Guà.
I volumi sugli eccidi di pozzo Becca, Cologna Veneta e via Aldrovandi
In occasione degli 80 anni dalla Liberazione, l’Archivio diocesano di Imola promuove due volumi, l’uno strettamente legato all’altro, che ripercorrono – tramite gli atti dei processi – gli eccidi di pozzo Becca, Cologna Veneta e via Aldrovandi. I titoli sono evocativi: Imola 1945: vittime e colpevoli. Gli atti dei processi per l’eccidio di pozzo Becca (1945 – 1951) e Imola 1945: vittime e colpevoli. Gli atti dei processi per gli eccidi di Cologna Veneta e via Aldrovandi (1945 – 1946). Le pubblicazioni, curate da Andrea Ferri ed edite da Il Nuovo Diario Messaggero, saranno presentate venerdì 2 maggio, alle 17, nella sala grande di palazzo Sersanti, alla presenza del vescovo Giovanni Mosciatti, del sindaco Marco Panieri, di Marco Orazi (direttore dell’Archivio Cidra) e del docente di storia contemporanea dell’Alma Mater Studiorum di Bologna, Luca Baldissara.
Una guerra civile con membri della stessa famiglia nemici
Scrive Marco Orazi nella prefazione ai volumi: «Guerra civile significa che persino componenti della stessa famiglia potevano diventare nemici irriducibilmente contrapposti, come è accaduto a Luciana Minardi, una delle giovanissime vittime di Cologna Veneta, perché accusata di avere fornito alla Brigata nera di Imola le fotografie dello zio partigiano, Franco Franchini, comandante della 7° Gap “Gianni” e medaglia d’argento al valore militare alla memoria. In questo contesto di fratricida violenza, un ulteriore elemento di radicalità è la presenza di delatori che hanno consentito ai tedeschi di arrestare decine di partigiani e proprio due di essi, Ugo Lambertini e Rino Mingozzi, saranno poi tra i principali imputati per l’eccidio dei 16 martiri di pozzo Becca. Riconosciuti come spie, torturatori e collaboratori dei fascisti e dei tedeschi in carcere e fuori, avevano finto anche di essere partigiani catturati e stavano rinchiusi in cella con quelli che non avevano tradito, per estorcere loro ulteriori notizie».
Incomprensioni, ambiguità, protagonismo ed emarginazione
Diverso, o meglio «sui generis», è il «caso degli omicidi di Cologna Veneta e di via Aldrovandi a Imola», perché «i partigiani coinvolti hanno potuto godere dell’affiancamento del commissario, del maresciallo di pubblica sicurezza e di alcuni carabinieri i quali, come forze italiane di polizia regolari, avevano piena giurisdizione in materia di pubblica sicurezza». Incomprensioni, contraddizioni, rimpallo di responsabilità, incapacità, ambiguità, secondo Orazi, sono «l’humus fertile da cui sono germogliati gli episodi criminali in esame». A cui si aggiunge «il protagonismo» di «una parte minoritaria di partigiani» che, dopo la Resistenza, «si trovano ora a fare i conti con una vita ordinaria simile a quella di tutti gli altri e con il dovere di portare a termine una giustizia che tarda ad arrivare. L’immediato dopoguerra è stato indubbiamente contraddistinto da numerose vendette e atti criminosi».
I volumi saranno disponibili nelle librerie del territorio, presso i nostri uffici di Imola in via Emilia 77/79 e nella nostra libreria online!
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