stefano Romualdi, medicinese doc, è reduce da una vera e propria avventura. Il 26 maggio scorso è volato in Scozia, a Glasgow, dove ha preso un treno che l’ha portato dritto a Tyndrum. Lì, alle 8.30 (orario scozzese) del 28 maggio, è salito in sella alla sua fidata mountain bike pronto per affrontare la Highland Trail 550, una tra le più importanti competizioni di bikepacking. Per i non addetti ai lavori, il bikepacking è un modo alternativo di viaggiare in bicicletta, portando con sé il minimo indispensabile e cavandosela solo con ciò che si ha a disposizione: non ci sono soste intermedie, né ristori e «i puristi storcono il naso quando sentono parlare di un letto sul quale dormire». Più che una sfida con gli altri è a tutti gli effetti una sfida con sé stessi.
Ormai è abituato alla vita da bikepacker. Ma come se l’è cavata in Scozia?
Pedalare per 893 km nelle Highlands non è stata sicuramente la cosa più facile che abbia mai fatto. Per i quattro giorni che ho impiegato ad arrivare al traguardo, ho dovuto fare i conti con precipitazioni costanti, temperature tendenti allo 0, fango e soprattutto torba, tipica di quel territorio. Il maltempo ha rallentato inevitabilmente la mia tabella di marcia. In condizioni ottimali avrei potuto finire il percorso in meno giorni.
C’è stato un momento in cui ha pensato che non ce l’avrebbe fatta?
Appena ho messo piede in Scozia, sapevo a cosa sarei andato incontro. Nessun supporto, nessun aiuto esterno, solo io e la mia bici. A livello fisico è stato sicuramente molto provante. Non avrei mai pensato di dormire sì e no otto ore in quattro giorni, per di più trascorrendo l’ultima notte in un gabinetto pubblico. Ma nonostante tutto sono arrivato sano e salvo alla fine, coronando un sogno che avevo da cinque anni.
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