Michelangelo Buonarroti, a metà del XV secolo, sosteneva che il compito dello scultore consistesse nel liberare l’opera d’arte insita nel blocco di marmo, come se il materiale grezzo contenesse già l’esito di tutto il lavoro. “Si dipinge con il cervello et non con le mani” insegnava agli allievi, come se tutti fossero nati con la creatività e la genialità del maestro.
Sia chiaro, Antonio Di Iorio non è Michelangelo – anche perché il materiale con cui si è improvvisato scultore non è il marmo ma la terracotta – tuttavia guardando la via crucis che ha realizzato per la cappella della parrocchia di Toscanella si rintraccia l’estro del grande artista. L’amore per i particolari diventa una chiave per leggere l’opera intera, l’arte sacra l’espediente culturale per approfondire il proprio percorso di fede. Per il territorio diocesano è un manufatto unico, ma anche a livello italiano si trovano pochi eguali. Per il fedele, che guarda dal basso, si apre una prospettiva artistica e religiosa: fare il percorso insieme a Gesù.
Quando e come nasce questa via crucis “insolita”?
L’opera nasce nel 2016 quando don Fabio Gennai, dopo la realizzazione di alcuni quadri per il battistero, mi disse che un parrocchiano aveva espresso il desiderio di avere una rappresentazione della via crucis, a seguito del restauro della cappella.
<+nero>Intendeva forse la via crucis “classica” che prevede i soliti quadretti con all’interno le scene della Passione.<+testo>
Certo, però considerando lo spazio a disposizione e l’arredo della sala non mi sembrava la soluzione più consona. Da disporre sarebbe stato un bel problema. Dopo aver riflettuto e girovagato per l’Italia in cerca di ispirazione ho trovato la soluzione.
<+nero>Questo studio l’ha portata fuori da Imola?<+testo>
La prima fonte di ispirazione è stato il Trentino. Anche la chiesa di San Lorenzo a Bologna, con proporzioni molto più grandi, presentava qualcosa del genere e ne sono rimasto piacevolmente colpito perché era diversa dal solito. Mi è subito piaciuta l’idea di elaborare una via crucis atipica.
Qualche mese su un progetto non convenzionale ha aperto prospettive interessanti. Una delle trovate che maggiormente colpisce è come il fatto storico sia ambientato e si sviluppi tra il popolo. C’è chi guarda incuriosito e chi assiste distratto.
Alcuni sono distratti perché ho immaginato che non interessasse a tutti quello che stava capitando. Circa un anno fa ho iniziato a lavorare all’opera e a sviluppare il percorso della Passione di Gesù con una chiave diversa: calare nella quotidianità la salita al Calvario di Gesù. Nella prima “scena” c’è la folla divisa in due ali che incita Pilato a crocifiggere Gesù e a salvare Barabba. In mezzo ho rappresentato un piccolo bambino che divide le due folle e sta a significare che viene calpestata la giustizia e quindi viene condannato l’innocenza. Dietro a questo particolare c’è stata una certa ricerca artistica.
Anche l’ambientazione non è lasciata al caso ed è fedele a quella che si potrebbe vedere a Gerusalemme.
Sono stato in Terra Santa qualche anno fa e avendo visto le costruzioni arabeggianti di quei paesi e di quelli vicini (come Cesarea), ho ricostruito quello che mi veniva in mente. Il tema che fa da filo conduttore sono i sassi, le pietre. Le pietre che raccontano, che hanno visto quei fatti, che “sono state scartate dai costruttori ma sono diventate pietra d’angolo” come dice il Vangelo. Ad esempio nella scena del crollo del tempio di Gerusalemme tutto frana addosso a Gesù ma lui rimane come colonna portante; oppure la pietra sulla quale il Cristo resuscita… tutta l’ambientazione è simile a quella dell’epoca e i sassi sono i principali attori non protagonisti.
Scovare i particolari in un’opera d’arte significa, in qualche modo, leggere il tutto secondo una chiave originale, che permette al fruitore di capirne appieno il messaggio. Quali sono questi particolari nella tua via crucis?
C’è la vita quotidiana come ho già detto: il pozzo, la gente che guarda, il soldato che si ferma a bere con la sua frusta. Una cosa un po’ diversa dal solito è l’albero vivo da un lato ma che si secca man mano che ci si avvicina al Calvario, perché Gesù è condannato ed è destinato a diventare la vittima. Un’altra scena particolare è la prima caduta di Gesù e ho fatto in modo che incrociasse lo sguardo di Simon Pietro, a cui crolla addosso il mondo perché sa di avere tradito, ma sa di essere perdonato. Perdono che, invece, non riceve Giuda che nella parte iniziale si impicca dopo aver restituito i trenta denari. Oppure i due ladroni che vengono accompagnati al Calvario da un soldato romano. Solitamente nelle versioni canoniche non appaiono. Sono citazioni che ho inserito perché secondo me c’è un rapporto diretto con la passione.
Tutto realizzato con unico materiale e con un unico colore…
È volutamente realizzato tutto in terracotta monocromatica, a parte le lance e i giavellotti che sono stati aggiunti in metallo. Questo materiale permette una seconda lavorazione anche dopo esser stato cotto. Artisticamente non ho ritenuto opportuno colorare l’opera perché avrebbe creato solo confusione.
È la prima volta che si cimenta con una via crucis?
Sì, io nasco come pittore. Ma ho deciso di lanciarmi in quest’opera prima di tutto per una sfida artistica, e poi per fare una ricerca personale a livello spirituale, perché tutte le volte che fai qualcosa ti poni delle domande. La fede ceca non esiste ma ci sono tanti dubbi: questo, come altri quadri, è un modo per approfondirla.
Lo spazio a sua disposizione si è trasformato da problema a fonte di ispirazione. Ci sono stati alcuni problemi tecnici rilevanti durante la realizzazione?
Il fatto che l’opera sia stata affissa ad una certa altezza mi ha fatto cercare una nuova soluzione per una resa migliore. Artisticamente parlando ho dovuto fare una ricerca dell’esposizione differente perché il pubblico guarda la struttura dal basso. Dal punto di vista tecnico sono 17 pezzi assemblati tra di loro e ancorati al muro con dei perni di ferro. I vari pezzi combaciano perché in loco ho stuccato le scene tra di loro. Anche in questo caso le pietre sono state di aiuto perché permettono di mascherare le giunture.