16, Luglio, 2025

La stoffa del campione

Andrea Ingrassia, 17 anni, sogna di diventare un judoka professionista: “C’è stato un momento in cui ho pensato di mollare, ma sono competitivo e voglio conquistare altre medaglie”

 

Dice il saggio: “Il judo è la via più efficace per utilizzare la forza fisica e mentale […] È un bellissimo concetto di vita riguardante la logica, la virtù e lo splendore; è la realtà di ciò che è sincero, buono e bello. L’espressione del judo è attraverso il waza, che si acquisisce con l’allenamento tecnico basato sullo studio scientifico” (Jigoro Kano).
Ecco la perfetta sintesi dello sport: per raggiungere risultati, bisogna faticare. Lo sa bene Andrea Ingrassia, 17 anni, promessa del judo azzurro. Inseguire un sogno comporta impegno, sacrificio e abnegazione. È proprio nei momenti più difficili che si capisce chi ha la stoffa del campione. E Andrea ce l’ha, potete starne certi.

Quando si sono conosciuti Andrea e il judo?
«Quando avevo sette anni. Alcuni amici lo praticavano già. Incuriosito, ho voluto provarlo anch’io. Mi è piaciuto e… tac. Da allora è iniziata la mia storia con questo sport. Non è stato facile, specie all’inizio. Servono tanto impegno, tanta abnegazione e tanta volontà. Per un ragazzino non è semplice l’impatto con questa realtà. Ma, negli anni, il judo può regalare tante soddisfazioni».

Ripercorriamo insieme la tua giovane carriera.
«Nel 2011, medaglia d’argento ai campionati italiani nella categoria Esordienti B. L’anno successivo ho vinto il titolo italiano tra i Cadetti. Nel 2013, invece, mi sono fermato al quinto posto. Mi sono rifatto con gli interessi in coppa Europa, con un argento a Zagabria, in Croazia, e un bronzo in Spagna. Quest’anno, invece, tra gli Juniores, sono arrivato quinto e settimo agli Italiani di categoria».

Obiettivi per il 2015?
«Un podio (e magari qualcosa in più) ai campionati italiani juniores della prossima primavera. Sono tra gli osservati della Nazionale juniores, un buon risultato mi potrebbe valere una convocazione per le gare internazionali».

Ci sono stati momenti in cui hai pensato di dire basta?
«Più di una volta. Ne ricordo una in particolare. Nel 2013, dopo la sconfitta in finale in Coppa Europa, ho pensato seriamente di smettere. Era pur sempre un secondo posto europeo, ma la delusione è stata grande, nonostante il risultato di prestigio. In quei momenti, aver vicino le persone giuste – penso ai miei genitori, al mio allenatore – mi ha spinto ad andare avanti e a non mollare. In più, particolare non da poco, sono molto competitivo e la voglia di conquistare medaglie è stata uno sprone».

Inseguire medaglie e risultati di prestigio, però, comporterà inevitabilmente tante rinunce.
«Sì, in particolare le uscite con gli amici. Quanti sabati sera passati a preparare una gara piuttosto che a uscire con loro…. La mia giornata è scandita dalla scuola e dagli allenamenti».

Il tuo rapporto col cibo?
«Complesso. Nel judo ci sono regole ben precise e limiti di peso da rispettare nelle competizioni. Il rischio, se si eccede, è di essere iscritti a categorie superiori e di trovarsi così a competere con atleti più pesanti e, di conseguenza, più avvantaggiati. Quindi, specie in fase di avvicinamento alle gare, non si può sgarrare di una virgola nell’alimentazione e si deve rispettare una dieta ferrea. E dire che sono un goloso…».

La tua giornata tipo?
«Sveglia alle 7 e colazione. Poi scuola fino alle 13. Nel pomeriggio, dopo il pranzo, ho un po’ di tempo per portare a spasso il cane. Poi, via ad allenamento (due o tre ore a seconda del giorno o dell’avvicinamento ad una gara). Prima di un appuntamento importante, oltre alla seduta in palestra, vado a correre o comunque curo molto la preparazione atletica. La sera, prima di cena, mi dedico allo studio. Anche se, lo ammetto, non sono uno studente modello. Ero iscritto all’istituto Alberghiero ma, dopo un anno, ho preferito rinunciare e iscrivermi al Ciofs, sezione elettricisti. A volte è faticoso, ma almeno mi insegna un mestiere. Potrà farmi comodo se la carriera sportiva non darà i frutti sperati…».

E la Nazionale?
«La Nazionale è un onore e un onere al tempo stesso. È bellissimo gareggiare per i propri colori, il proprio Paese, ma i raduni pre gara sono davvero difficili. In certi periodi ci alleniamo anche tre volte al giorno, con sveglia la mattina presto e due, tre ore al massimo di pausa. Per fortuna, il gruppo è super. Con i miei compagni il rapporto è ottimo. Ci aiutiamo e ci sosteniamo a vicenda. Stesso discorso vale per i compagni di squadra imolesi. Siamo prima di tutto amici. Per me sono come fratelli. Vito (Ponzi, l’allenatore, ndr), poi, è come un secondo padre».

Il sogno nel cassetto?
«Diventare un judoka professionista, vincere qualcosa di importante con la Nazionale ed entrare in un gruppo sportivo delle forze armate».
@g_casadio

 

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