Quando il defunto cardinale Giacomo Biffi veniva interpellato sui temi della cultura cattolica e non, iniziava con un aneddoto. Sacerdote milanese, nominato dal cardinale Colombo direttore dell’ufficio cultura dell’archidiocesi ambrosiana, fa osservare al suo superiore: «Eminenza, io non ho idea di cosa debba occuparsi questo ufficio»; e il porporato di rimando: «Capisco, ma non si preoccupi, non lo sanno nemmeno gli altri», a indicare il grado di vacuità e indefinitezza attribuito oggi al termine.
Nel mondo classico vi è l’idea di coltivare la vita interiore della persona dall’infanzia alla vecchiaia nutrendola di bellezza, giustizia, bontà, verità; attraverso questa irrorazione la persona può crescere e sviluppare tutte le sue potenzialità.
In seguito il termine cultura è impiegato non solo per definire l’azione di coltivare la persona, ma anche il risultato di questa azione, cioè il bagaglio di valori intellettuali, estetici e sociali sviluppati in ciascuno dall’azione culturale, a cui va aggiunta una valenza sociale, riferita cioè a mezzi e risultati della coltivazione della persona, quali ad esempio scuole, università, mezzi di comunicazione da un lato e patrimonio artistico, musicale, letterario, scientifico dall’altro, così che anche il livello collettivo sia permeato dai valori di bellezza, giustizia, verità di cui sopra; e in questo senso, come ricorda papa Benedetto XVI: «Il contributo dei cristiani è decisivo solo se l’intelligenza della fede diventa intelligenza della realtà»; guardando al risultato di duemila anni di fede cattolica e alla traccia indelebile lasciata nella vita, arte, storia e ogni branca della cultura si può dire che questo obiettivo è stato raggiunto, senza timore di entrare in dialogo con nessuna realtà diversa e anche contrapposta, senza arroganze, ma neppure sudditanze, essendo consapevoli che essere attrattivi non significa necessariamente piacere al mondo, soprattutto perché i cristiani sino dalle origini non si limitavano a vivere e praticare la loro fede tra loro, ma interagivano con ogni realtà sociale, stimolando interrogando e formulando giudizi sulla realtà, senza iattanza, ma mostrando di possedere una capacità di lettura della realtà più omnicomprensiva e profonda di quella dei loro interlocutori. E quella verità per i cristiani ha un nome e cognome: Gesù Cristo, che compendia in sé e nella Chiesa la verità più profonda sulle persone: «La fede cristiana non è solo un sistema di credenze, ma un incontro con una Persona che dà alla vita un nuovo orizzonte e una direzione decisiva».
(Deus Caritas Est, 2005),
È sostanzialmente lo stesso concetto che ribadisce il Concilio Vaticano II nella costituzione apostolica Gaudium et spes: Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, perché come ci ricorda Jacques Maritain «Il cristianesimo ha introdotto una rivoluzione spirituale senza precedenti, che ha aperto la strada alla dignità della persona umana e alla libertà della coscienza, senza mai dissociarle dalla verità».
(Umanesimo integrale, 1936). La fede offre alla ragione uno scopo ultimo, mentre la ragione offre alla fede un ordine e una struttura per comprendere il mondo.
La cultura cattolica, in questo senso, si propone come una visione del mondo che rifiuta sia il fondamentalismo irrazionale sia il razionalismo ateo. In un’epoca in cui il sapere tende a frammentarsi in discipline isolate, il cattolicesimo propone una unità del sapere, in cui la ricerca della verità è un cammino che coinvolge l’intero essere umano: cuore, mente e spirito.
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