«Con l’apertura delle porte sante a Roma ed ora in questa celebrazione noi diamo inizio a un nuovo Giubileo. Questo è il giorno in cui Dio dice a ciascuno: c’è speranza anche per te! C’è speranza per ognuno di noi». Con queste parole il vescovo della Diocesi di Imola, mons. Giovanni Mosciatti, ha accompagnato l’apertura del Giubileo nella nostra Chiesa locale.
La celebrazione in San Cassiano alla presenza delle autorità civili e militari del territorio della Diocesi, molto partecipata, ha fatto seguito alla processione per le vie del cuore della città di Imola in cui i fedeli hanno seguito l’icona scelta come simbolo del Giubileo in Diocesi, realizzata dalla lughese Maria Grazia Reggi (qui l’articolo).
Si apre un anno santo che ci chiama a essere pellegrini di speranza, come sottolineato da papa Francesco nella bolla di indizione. «La speranza cristiana, non illude e non delude, perché è fondata sulla certezza che niente e nessuno potrà mai separarci dall’amore divino – sottolinea il vescovo nella sua omelia (sotto il testo) –: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? […] Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati.” ( Rm 8,35.37). E guardando al tempo che scorre, abbiamo la certezza che la storia dell’umanità e quella di ciascuno di noi non corrono verso un punto cieco, ma sono orientate all’incontro con il Signore della gloria».
Di seguito il testo dell’omelia del vescovo Mosciatti per l’apertura del Giubileo nella nostra Diocesi e una gallery fotografica (Foto Isolapress)

Carissimi, con questa celebrazione noi diamo inizio solennemente, nella nostra chiesa diocesana, al Giubileo Ordinario del 2025, per poter sperimentare l’esperienza viva dell’amore di Dio. E non è un caso che in questa domenica la Chiesa celebra la festa della Santa Famiglia di Gesù, Giuseppe e Maria. L’amore quotidiano di quella casa è un tutt’uno con l’amore di Dio. Non ci sono due amori: l’amore di Dio e l’amore umano. C’è un solo amore che muove me verso l’altro, che muove il genitore verso il figlio, che muove Dio verso di noi. La famiglia è il luogo dove si impara che Dio è amore.
È questo il grande dono del Natale: quel bambino, l’Emmanuele è Dio-con-noi. La luce divina è brillata fra le tenebre del mondo, nella piccolezza di un Bambino Dio ha mostrato il suo Amore per noi. Ed allora possiamo sperimentare che la speranza non è morta, la speranza è viva, e avvolge la nostra vita per sempre! La speranza non delude.
Carissimi, con l’apertura delle Porte Sante a Roma ed ora in questa celebrazione noi diamo inizio a un nuovo Giubileo: questo è il giorno in cui Dio dice a ciascuno: c’è speranza anche per te! C’è speranza per ognuno di noi.
Per accogliere questo dono, siamo chiamati a metterci in cammino con lo stupore dei pastori di Betlemme, così come abbiamo fatto ora, lasciandoci attirare dalla bella notizia. Il pellegrinaggio esprime un elemento fondamentale di ogni evento giubilare. Mettersi in cammino è tipico di chi va alla ricerca del senso della vita. A noi discepoli del Signore, infatti, è chiesto di ritrovare in Lui la nostra speranza più grande, per poi portarla senza ritardi, come pellegrini di luce nelle tenebre del mondo. Là dove la vita è ferita, nelle attese tradite, nei sogni infranti, nei fallimenti che frantumano il cuore; nella stanchezza di chi non ce la fa più, nella solitudine amara di chi si sente sconfitto, nella sofferenza che scava l’anima. Portare speranza lì, seminare speranza lì.
Papa Francesco, nella Bolla di indizione di questo Giubileo ci ricorda che “La speranza nasce dall’amore e si fonda sull’amore che scaturisce dal Cuore di Gesù trafitto sulla croce”. Per questo abbiamo camminato dietro il Crocifisso e per tutto quest’anno Giubilare sarà esposto qui in Cattedrale. Il cartoncino che ne riporta l’immagine e che ciascuno di noi potrà prendere, ci aiuterà a tener viva la memoria. La speranza cristiana, non illude e non delude, perché è fondata sulla certezza che niente e nessuno potrà mai separarci dall’amore divino: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? […] Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati.” ( Rm 8,35.37). E guardando al tempo che scorre, abbiamo la certezza che la storia dell’umanità e quella di ciascuno di noi non corrono verso un punto cieco, ma sono orientate all’incontro con il Signore della gloria. Viviamo dunque nell’attesa del suo ritorno e nella speranza di vivere per sempre in Lui. Per questo ringraziamo la nostra carissima amica che ha scritto l’icona del crocifisso, il Veniente, che tiene in mano il libro dell’Apocalisse aperto sulle parole definitive di Gesù: “Ecco vengo presto”. (Ap 22,20).
Nell’Anno giubilare saremo chiamati ad essere segni tangibili di speranza per tanti fratelli e sorelle che vivono in condizioni di disagio. Il Giubileo è davvero un richiamo antico, che proviene dalla Parola di Dio e ci fa coscienti che la vita, la terra, le cose non ci appartengono e che ci chiede atti di clemenza e di liberazione che permettano di ricominciare: «Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti» ( Lv 25,10). È il grande richiamo anche del profeta Isaia: «Il Signore mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore» ( Is 61,1-2). Sono le parole che Gesù ha fatto proprie all’inizio del suo ministero, Egli è davvero il compimento dell’“anno di grazia del Signore” (cfr. Lc 4,18-19).
Papa Francesco ci aiuta a guardare ai tanti semi di speranza che possiamo seminare in questo anno di grazia: “Segni di speranza andranno offerti agli ammalati, che si trovano a casa o in ospedale. Le loro sofferenze possano trovare sollievo nella vicinanza di persone che li visitano e nell’affetto che ricevono. Le opere di misericordia, spirituali e corporali, sono anche opere di speranza, che risvegliano nei cuori
sentimenti di gratitudine. Anche solo elencandole possiamo scoprire quanto impegno c’è per tutti noi: dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere i forestieri, assistere gli ammalati, visitare i carcerati, seppellire i morti, consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti.
Ricordiamoci di ciò che il Signore, nella grande parabola del giudizio finale, ha detto: “tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me.” (Mt 25,40).
Ma noi non potremmo fare un passo in questo pellegrinaggio della speranza se non potessimo sperimentare la misericordia del Signore nella nostra vita. Papa Francesco ci dice che il dono dell’Indulgenza permette di scoprire quanto sia illimitata la misericordia di Dio. L’Indulgenza, dunque, è una grazia giubilare, esprime la pienezza del perdono di Dio che non conosce confini.
Nella Riconciliazione sacramentale permettiamo al Signore di distruggere i nostri peccati, di risanarci il cuore, di rialzarci e di abbracciarci, di farci conoscere il suo volto tenero e compassionevole. Nella Confessione riscopriamo la bellezza del sacramento della guarigione e della gioia, la bellezza del perdono dei peccati!
Tuttavia, come sappiamo per esperienza personale, il peccato “lascia il segno”, porta con sé delle conseguenze: non solo esteriori, in quanto conseguenze del male commesso, ma anche interiori. Permangono, nella nostra umanità debole e attratta dal male, dei “residui del peccato”. Essi vengono rimossi dall’indulgenza. Si capisce allora la necessità di pregare anche per quanti hanno concluso il cammino terreno, a quanti ci hanno preceduto, perché ottengano piena misericordia.
Quanta grazia di perdono potremo ricevere in quest’anno giubilare noi ed i cari defunti. Ricordo brevemente quello che ci viene chiesto: celebrare la confessione sacramentale, ricevere la comunione eucaristica, pregare secondo le intenzioni del Sommo Pontefice.
E poi poter compiere un pellegrinaggio e celebrazione in un luogo santo a Roma, in altri luoghi nel mondo o nella nostra Diocesi, compiere opere di misericordia corporali e spirituali, visitare per un congruo tempo i fratelli che si trovino in necessità o difficoltà quasi compiendo un pellegrinaggio verso Cristo presente in loro.
Potremo riscoprire la penitenza del venerdì, l’astensione da futili distrazioni e da consumi superflui, opere di carattere religioso o sociale, in specie a favore della difesa e protezione della vita in ogni sua fase, della gioventù in difficoltà, degli anziani bisognosi o soli, dei migranti, attività di volontariato o ad altre simili forme di personale impegno.
Ci saranno date tante occasioni e luoghi per poter ricevere la grazia del perdono e dell’indulgenza e imparare e vivere la speranza.
E come ci ha ricordato sempre il grande poeta francese Charles Péguy: “La speranza non va da sola. Per sperare, bimba mia, bisogna essere molto felici, bisogna aver ottenuto, ricevuto una grande grazia”. (Peguy, Il portico del mistero della seconda virtù)

Mons. Giovanni Mosciatti, omelia per l’apertura del Giubileo 2025 in Diocesi di Imola
29 dicembre 2024


 

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