Il processo per l’omicidio di Fabio Cappai sarà discusso il 27 marzo. Questo è quanto stabilito dal gup del tribunale dei minori di Bologna durante l’udienza odierna. Un aggiornamento stabilito dopo la richiesta di un termine a difesa, concesso, da parte dei nuovi avvocati subentrati solo pochi giorni fa nella difesa dei due ragazzi accusati di concorso anomalo in omicidio e lesioni personali.
I due, all’epoca dei fatti minorenni, avrebbero deciso di rivolgersi agli avvocati imolesi Giovanni Marchi e Giovanna Cappello, subentrati rispettivamente ai colleghi Bassano e Rossi nella difesa dei due imputati.
Da qui la richiesta del termine a difesa, ovvero un termine congruo per prendere cognizione degli atti e per informarsi sui fatti oggetto del procedimento. L’intenzione della difesa, come confermato dall’avvocata Cappello, è, alla luce degli elementi nel fascicolo, riproporre una nuova domanda di messa alla prova per l’assistito. Misura che nell’udienza del 16 gennaio era stata respinta dal giudice.
Per il rito abbreviato nei confronti del 17enne reo confesso e dei due ragazzi accusati di concorso anomalo in omicidio si discuterà in aula quindi nella mattinata del 27 marzo.
Stralciata rispetto a questa udienza la posizione dell’altro ragazzo, difeso dagli avvocati Bordoni e Mazza, per cui già il 16 gennaio era stata accolta la discussione per un progetto di messa alla prova. Progetto che sarebbe stato confermato oggi dopo l’udienza del ragazzo davanti al giudice del tribunale per i minori di Bologna Francesca Salvatore.
Messa alla prova, in cosa consiste?
Con la sospensione del procedimento con messa alla prova, l’imputato viene affidato all’Ufficio di esecuzione penale esterna per un programma che prevede come attività obbligatorie lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità consistente in una prestazione lavorativa non retribuita «in favore della collettività e l’attuazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato e l’attività di mediazione con la vittima del reato».
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