La recente decisione della Diocesi di Imola di formulare e attuare un approccio strutturato sui temi della cultura richiede di soffermarsi su questo termine e sul suo valore. Si tratta di una parola talmente usata, brandita, mitizzata e a cui negli ultimi due secoli vengono attribuiti contenuti così diversi da risultare paradossalmente priva di significato proprio.
E poiché se non sai ciò che vuoi certamente non l’avrai, è necessario chiarirsi.
Nel mondo classico, di cui noi siamo eredi, si sviluppa l’idea di coltivare la vita interiore della persona dall’infanzia alla vecchiaia nutrendola di bellezza, giustizia, bontà, verità; attraverso questa irrorazione la persona può crescere e sviluppare tutte le sue potenzialità. In seguito il termine cultura è impiegato non solo per definire l’azione di coltivare la persona, ma anche il risultato di questa azione, cioè il bagaglio di valori intellettuali, estetici e sociali sviluppati in ciascuno dall’azione culturale. Un’accezione del termine calibrata sulla dimensione individuale.
Il progressivo svilupparsi delle identità comunitarie e nazionali conferisce al concetto di cultura una valenza sociale, riferendosi cioè a mezzi e risultati sociali della coltivazione della persona, quali ad esempio scuole, università, mezzi di comunicazione da un lato e patrimonio artistico, musicale, letterario, scientifico dall’altro, così che anche il livello collettivo sia permeato dai valori di bellezza, giustizia, verità di cui sopra.
Dagli anni Cinquanta del Novecento il significato del termine viene progressivamente stravolto, sotto la spinta delle discipline antropologiche: la persona non è più destinataria dell’azione culturale fondata su valori oggettivi, ma diviene fonte della cultura; quindi qualunque attività sistematica di ogni gruppo sociale diviene parte della cultura di quel gruppo, a prescindere dal suo valore oggettivo: la Gioconda i reperti paleolitici, la Divina Commedia e Topolino sono opere di cultura di pari dignità e valore.
Questo approccio relativistico negli ultimi decenni è stato superato da una concezione di cultura concepita come griglia di valutazione della realtà, articolata su una scala di valori assiomaticamente posta, quando non imposta, che spinge i rispettivi araldi a ripudiare e condannare ciò che contrasta con questa griglia.
Lo stimolo al confronto che è uno degli obiettivi strutturali del cantiere cultura nel nostro territorio mira appunto a smontare assiomi e costruire ponti, con la consapevolezza, come ci ricorda papa Francesco, «che il modo migliore per dialogare non è quello di parlare e discutere, ma quello di fare qualcosa insieme, di costruire insieme, di fare progetti: non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà».
Andrea Ferri