16, Luglio, 2025

Asino romagnolo, che crescita: dai 76 esemplari del 2002 agli oltre 1.200 di oggi

Una storia che si intreccia con la nostra città: a Imola, nel 2011, si era costituita l'Associazione italiana allevatori della razza asino romagnolo

Era il dicembre del 2000. In quei giorni pre-natalizi si tenne a Ferrara, presso il Centro regionale di incremento ippico dell’Emilia-Romagna (che fu poi chiuso nel 2007), il primo incontro di tecnici, volto a mettere a fuoco se l’Asino romagnolo ci fosse ancora o fosse definitivamente scomparso, vittima di un passato che l’aveva inghiottito. Un passato di povera economia agricola, trazione animale, mulattiera, basto, castagneto, carbonaia, polenta, mercato settimanale per sale e fiammiferi, cavalcatura per l’ostetrica (quando il parto avveniva tra le mura domestiche) o per il parroco (quando l’olio santo veniva somministrato a un moribondo), e, in pianura, calesse per il dottore. Insomma, la domanda era, quel passato aveva portato con sé anche l’Asino romagnolo o sarebbe stato ancora possibile censirlo e salvarlo?
Il problema dell’estinzione certo non si era mai presentato fino alla seconda guerra mondiale, visto quanto numerosi fossero i capi di riproduttori di razza romagnola (circa 50) presenti nelle stazioni di monta pubblica (chiamate Regi depositi stalloni ed allora gestite dal Ministero della Guerra), anche per la produzione dei muli per l’esercito; e visto a quanto ammontasse l’intera popolazione del Romagnolo nel censimento del 1918 (5.267 capi totali).
Poi venne la guerra, ed il destino dell’Asino romagnolo precipitò improvvisamente, prima con la crisi alimentare delle armate tedesche che, al venir meno dei rifornimenti dalle retrovie, lo razziarono nelle stalle dei contadini e se ne cibarono ampiamente. Poi con la ritirata dalla Linea Gotica verso il Po, in cui il povero animale fu costretto a trainare smisurate e sproporzionate carratelle militari, cariche di vettovaglie, prima della resa.
Ma il peggio per l’asino doveva ancora venire. Con il boom economico italiano degli anni sessanta, l’agricoltura andò ben presto meccanizzandosi ed i trasporti su strada videro un impetuoso sviluppo della motorizzazione. A chi volete che interessasse ormai più l’asino con la sua lentezza, specialmente al Nord ed in Emilia-Romagna, una tra le Regioni maggiormente investite dal nuovo new-deal economico?! L’asino, identificato come retaggio di un passato triste, anzi angoscioso, fu lasciato all’oblio e all’abbandono. Poco dopo lo Stato italiano ne decretò l’estinzione.
Qualche asino però rimase, presso le poche case contadine ancorate alle tradizioni. Le Associazioni provinciali allevatori (Apa) ne avevano sicura contezza, quando andavano presso queste fattorie per i controlli funzionali del bestiame. Così, accanto ai tecnici delle Apa, si trovarono in seduta i professori delle università (con laurea in Veterinaria) e i dottori della Regione. Dalla riunione uno spiraglio venne tenuto aperto: fu fissato lo standard tradizionale della Razza, facendo riferimento ai dati di letteratura, di memoria storica e di confronto con le altre razze asinine italiane. Negli anni 2001 e 2002 fu fatto il censimento, rispettando la rigorosa aderenza allo standard. Furono individuati (in tutto), tra puledri ed adulti, 76 soggetti: 15 maschi e 61 femmine.
Si dovette però attendere il 21 giugno del 2005 perché venisse nuovamente riconosciuta la razza dallo Stato italiano. Ma con meno di 120 esemplari si trattava pur sempre (la definizione è scientifica ed è della Fao) di una “razza critica” (o “reliquia”), ed il pericolo dell’estinzione rimaneva sempre in agguato, dietro l’angolo.
Dal 2005 ad oggi tante cose però sono cambiate, se è vero che il numero complessivo dei capi è ora di 1.207 esemplari, sicuramente più qualificati ed omogenei rispetto ai 76 della ripartenza. Ma quali sono stati i fattori determinanti di questo rilancio?
Il primo è stato sicuramente la costituzione della Associazione italiana allevatori della razza asino romagnolo (Asirara) da parte di 30 allevatori, avvenuta a Imola l’1 aprile 2011. Il secondo è stato la promozione del Romagnolo attraverso la rassegna inter-regionale annuale che si è svolta in giugno, a Imola, presso la Fiera Agricola del Santerno (tranne la prima edizione che si svolse a Casola Valsenio). Il terzo fattore è stato l’aumento di visibilità nazionale del Romagnolo, portato numerose volte a Fieracavalli di Verona, a Montichiari, ad Alfero, a Milano per la manifestazione della Coldiretti. Il quarto, il processo di selezione e di qualificazione della razza da parte degli allevatori, sempre ispirati ad una maggiore omogeneità dei capi presentati, che ha fatto perno sulla aderenza allo standard di razza. Quinto, la progressiva diffusione del Romagnolo in nuove realtà regionali (come la Lombardia, il Veneto, le Marche e la Toscana).
Ma veniamo all’oggi, alla 10ª Rassegna interregionale dell’Asino romagnolo svoltasi il 18 e 19 giugno al parco Sante Zennaro di Imola, dove abbiamo assistito prima di tutto ad una presenza prevalente delle categorie di soggetti giovani. Questo indicatore dimostra la vitalità del mondo allevatoriale, che ha puntato sui giovani prodotti per presentarsi in gara con buona possibilità di successo. Anche la valutazione del giudice ha premiato con eccellente aderenza, ottima aderenza, buona aderenza la totalità dei soggetti presentati nel ring. Nessun dei 50 soggetti presentati ha invece conseguito la valutazione più bassa (semplice aderenza). Per ciò che riguarda i due best in show, da segnalare che sia quello maschile (Murat, di Alessandro Imolesi di Cesena) sia quello femminile (Bigia MB di Bernardo Montaleone di Dozza) presentano, entrambi, l’età di due anni.


 

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