Settant’anni dietro l’obiettivo, a immortalare tutti i momenti più significativi della storia del paese e delle persone che ci hanno vissuto. È un traguardo davvero considerevole quello raggiunto a Castel Bolognese dal fotografo Angelo Minarini, classe 1933.
Era, infatti, il lontano 15 giugno 1951 quando, nemmeno 18enne, prese la licenza professionale in “Arte fotografica” e iniziò la lunga gavetta per fare di quella sua passione un mestiere. Nel 1963 venne aperto lo storico negozio di foto-ottica in via Garavini, a pochi passi da piazza Bernardi, dove ancora oggi trascorre le sue giornate dando una mano al figlio Francesco, noto regista castellano che oggi è titolare dell’attività. Una vera bottega storica, che in quasi 70 anni di attività ha servito tre diverse generazioni di castellani.
Il 15 giugno scorso in occasione dell’importante anniversario di carriera è andata in scena una piccola cerimonia celebrativa al negozio.
Il buio e la luce
«Mio padre voleva che facessi l’orologiaio come lui – racconta Minarini – ma era un lavoro che non mi piaceva. Ad accomodare una sveglia non inventi niente, mentre con la fotografia tu crei qualcosa, in ogni scatto metti qualcosa di tuo. Poi nel buio in cui si sviluppavano le foto ci trovavo qualcosa di misterioso, e ne ero affascinato. Il mio primo laboratorio fu la mia camera da letto: avevo oscurato la finestra con un telo nero e lì sviluppavo le mie prime fotografie. L’unico inconveniente era che in quella stessa stanza, con la puzza degli acidi usati per lo sviluppo, la notte io ci dovevo anche dormire. Le prime foto le ho fatte con la macchina fotografica di mio babbo, una 6×9 con il soffietto, poi piano piano con i primi guadagni mi comprai tutta l’attrezzatura».
Partite di calcio, feste da ballo, eventi di piazza, ogni occasione diventa buona per fare pratica. Fondamentali sono stati anche gli insegnamenti del compianto fotografo riolese Dino Domenicali. «Lui è stato il mio mentore, facevo tesoro di ogni suo consiglio. Ricordo che i matrimoni – aggiunge – iniziai a farli con la sua macchina fotografica». Ad un certo punto, quasi senza accorgersene, la fotografia diventa un lavoro a tempo pieno.
Tra i motori e l’arte
Oltre ai privati, nella sua lunga carriera ha avuto senza dubbio un ruolo primario la fotografia in velocità . «Il motociclismo era la mia grande passione. Al circuito di Imola andavo a fotografare per conto mio, senza poi venderle. Le foto le portavo soltanto al segretario dell’ufficio del motoclub, che in cambio mi faceva avere il tesserino per entrare quando c’erano gli eventi. Ricordo che usavo come riferimento le macchioline sull’asfalto lasciate dai motori, per mettere bene a fuoco la macchina e catturare l’immagine nell’istante esatto in cui passavano».
Nel mondo delle corse strinse amicizia con il pilota lughese Mario Lega, che quando nel 1977 si laureò campione del mondo nella 250 lo chiamò personalmente chiedendogli di andare a fargli le foto e partecipare ai festeggiamenti. Molte soddisfazioni se le è tolte anche in ambito artistico come collaboratore delle Soprintendenze di Bologna e Ravenna, ed è stato per quasi 20 anni (fino al 1992) il fotografo del Museo delle ceramiche di Faenza. «Col prezioso aiuto di mia moglie – ricorda – ho documentato e catalogato una montagna di opere d’arte. Tutte fotografie sviluppate artigianalmente, come si faceva una volta». Minarini fu anche tra i castellani che si spesero attivamente per la riapertura nel 1966 del cinema-teatro parrocchiale Moderno, che versava da anni in stato di abbandono.
Dal rullino al digitale
L’avvento del digitale ha inevitabilmente segnato una svolta per il settore. «Settant’anni fa con la 6×9 ai matrimoni si facevano 8 foto, poi bisognava cambiare rullino e caricare l’otturatore, che era un’operazione che richiedeva tempo. Perciò oltre a fotografare con la giusta luce e la giusta prospettiva, dovevi sempre calcolare gli scatti che ti rimanevano per non rimanere a piedi nei momenti più importanti. Adesso con una schedina di memoria si fanno 1.000 foto, è tutto più facile».
A discapito della qualità, però. «Oggi con il digitale c’è molto meno studio rispetto a una volta – aggiunge il figlio Francesco -, quando con i rullini le foto le dovevi scegliere. Eri spronato a dare il meglio. Avere tra le mani cose sempre più semplici da poter usare purtroppo ti porta a non ragionare più su quello che stai facendo».
Ma come si fa dopo 70 anni a non essersi ancora stancati di stare in negozio? «Bisogna avere la passione. Non solo in questo, ma in tutti i lavori – afferma Angelo -. Senza passione si fa una gran fatica a lavorare e non avrai mai soddisfazione in quello che fai. Io invece a fare questo mestiere mi sono sempre divertito».
Prima di congedarci il figlio Francesco ci rivela: «Ancora adesso, quando sono in giro a filmare in varie occasioni, lui senza che nessuno gli dica niente prende la seconda telecamera, va in giro e si fa le riprese per conto suo, che dopo io inserisco in fase di montaggio». A 88 anni. Ecco, questa è la passione.