9, Luglio, 2025

Imolians. Dal Madagascar a New York, chi è rientrato e chi aspetta

Imolians che tornano, imolians che aspettano di poter tornare in Italia. La chiusura delle frontiere e lo stop ai voli hanno reso complicato e in alcuni casi impossibile il rientro di nostri concittadini che per ragioni diverse vivono all’estero. Pur con qualche traversia, Vaifra Melchiorri e Benedetta Scardovi ce l’hanno fatta a raggiungere Imola. Vaifra il 28 giugno, con un bel po’ di ritardo sul previsto, ha potuto lasciare il catamarano su cui era imbarcata e ha trovato un volo dai Caraibi: «L’atterraggio non mi era mai sembrato così bello e la vista di San Luca mi ha quasi strappato una lacrima. Alla fine basta poco per essere felici e apprezzare la propria terra… è sufficiente una pandemia mentre sei dall’altra parte del mondo».

Non è stato semplice lasciare New York anche per Benedetta, che a Imola è arrivata ai primi di giugno con il marito e i tre figli. Per tutti, ovviamente, due settimane di quarantena in casa prima di poter riprendere contatti con familiari e amici e buttarsi nella vita imolese, tra gite, fiume, passeggiate e incontri con gli amici di una vita.

Elvira Noferini, imolese, è invece ancora bloccata in Madagascar. Partita il 15 dicembre con l’intenzione di restare all’ospedale dove ogni anno fa alcuni mesi di volontariato come infermiera di sala operatoria, occupandosi al contempo della casa in cui risiedono i volontari, pensava di rientrare a Imola il 15 marzo. Poi il lockdown ha bloccato tutto. Pareva che ci sarebbero stati dei voli per l’Europa il 30 giugno, ma così non è stato: «Il blocco dei voli prosegue, nel nord del Madagascar i casi di contagio paiono essere in aumento, c’è qualche caso anche al sud, dove però i controlli sono pochi e dove fare esami e tamponi non è certo facile. Poiché i voli interni sono tutti annullati, per arrivare al- l’aeroporto di Antananarivo – da cui di recente ci sono stati voli speciali di Air France – io dovrei percorrere 1.400 chilometri in macchina attraversando proprio la zona in cui c’è il numero più alto di casi di Covid-19. E anche trovare chi ti accompagna non è semplice». Elvira continua quindi a lavorare all’Hopitaly Vezo, l’ospedale italiano di Andavadoaka, nel Tulear, attivo dal 2006 e seguito dai volontari dell’associazione Amici di Ampasilava, una onlus italiana che ha fatto del Vezo un punto di riferimento per la popolazione locale: «Siamo in cinque bloccati qui – ci racconta Elvira per telefono -, e tutti dovremmo rientrare in Italia: oltre a me un farmacista, due fisioterapisti, una dottoressa di Pisa. Lavoriamo molto, i pazienti vengono da tante zone del paese, c’è chi arriva dopo un viaggio di cinque giorni in carretto, chi di quattro giorni a piedi. Non sappiamo chi arriva e cosa ci porta, quindi siamo sempre molto protetti, dobbiamo mantenerci tranquilli… e fornire a chi ci raggiunge visite, interventi, farmaci e presìdi. La popolazione conta molto su di noi. Dato il prolungarsi della permanenza, visto che siamo qui da oltre sette mesi, ho avuto necessità di recarmi in banca, a cinquanta chilometri, di andare a Tulear (e il percorso si fa in jeep, pick up o mezzi di fortuna come un carretto trainato dagli zebù), per pagare fatture, ogni mese per rinnovare la Visa. Ci spostiamo con tutte le precauzioni possibili e se dobbiamo dormire una notte in città scegliamo alberghi buoni, dove ci siano pochi ospiti, e dove poterci sentire sicuri. Un problema per la popolazione è il cibo, che scarseggia (noi possiamo rifornirci al supermercato di Tulear): la gente del luogo è senza lavoro, il turismo è azzerato, i resort sono in massima parte chiusi. In questo villaggio, che conta 3500 abitanti, diamo lavoro solo noi. I locali si cibano del pesce pescato sulle coste, il prezzo del riso è andato alle stelle, nel sud ci sono bande che saccheggiano. Sì, il Madagascar sta attraversando un periodo molto duro, l’emergenza ha colpito molti altri Paesi, ma qui gli strumenti per affrontarla non sono molti. Per noi volontari c’è una casetta con camere, bagno e cucina in una piccola area recintata. Si conduce una vita estremamente spartana, che mi fa capire ogni volta che arrivo che noi abbiamo molte, troppe cose… Con noi lavorano un medico e un’ostetrica malgascia, interpreti, personale di servizio, meccanico, autista, tutti della zona. Al momento qui da noi all’ospedale la situazione è ancora tranquilla. Non possiamo fare altro che prendere la cosa con filosofia, non abbiamo altre possibilità. Quando potrò rientrare? Al momento proprio non lo so».

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