9, Luglio, 2025

«L’America si è svegliata solo quando si è fermata l’Nba »

Il Coronavirus ha fermato anche l’Nba. La positività di Rudy Gobert, pivot francese degli Utah Jazz, ha obbligato la massima lega cestistica americana a sospendere sine die il campionato (si parla di una ripresa a metà aprile, in occasione dei playoff ).
«È un po’ come se si fosse aperto il vaso di Pandora – racconta il fotografo imolese Matteo Marchi, di stanza a New York dal 2017 -. Gli americani si sono resi conto dell’emergenza solo con la positività di Gobert, che giusto due giorni prima giocava e scherzava (da irresponsabile) con i microfoni in conferenza stampa, e con il caso di Tom Hanks e della moglie, risultati positivi dopo un controllo in Australia».
Marchi, invece, si è chiuso in casa già dalla scorsa settimana. «Le notizie che arrivavano dall’Italia erano preoccupanti – spiega -. Leggevo di casi in aumento ogni giorno. Per questo ho scelto di evitare il più possibile contatti con l’esterno, di stare alla larga da metro, mezzi pubblici e luoghi affollati e di fare una specie di auto quarantena». Del resto, ferma l’Nba, anche il suo lavoro si è fermato. «Il mio contratto con i Knicks è a partita, non percepisco uno stipendio mensile. In più, anche se la stagione sportiva ripartisse dai playoff (come pare, ndr), New York non sarebbe qualificata, perciò la mia stagione lavorativa si è di fatto conclusa. Le Olimpiadi? Se si faranno, come penso, ci andrò. Sono stato selezionato dalla Fiba. Spero che, per fine luglio, la situazione sia quanto meno migliorata».
Come Matteo, anche molti italiani residenti nella grande mela hanno deciso di ridurre al minimo i contatti con l’esterno. «Stiamo tutti un po’ attenti. C’è la percezione del pericolo. Da parte nostra, purtroppo, c’è sempre stata consapevolezza che il virus sarebbe arrivato anche qui. Non era questione di se, ma di quando. Gli americani, invece, lo vivevano come una cosa lontana, che riguardava l’Europa. Un po’ come gli italiani, a inizio anno, guardavano con distacco le vicende cinesi. Ora anche in America si sono svegliati. Molte aziende hanno attivato lo smart working. Ma è un marzo eccezionalmente caldo rispetto alla media (ci sono 15 gradi qui) e la gente continua ancora a muoversi».
Per questo il fotografo imolese sta ragionando se rientrare in Italia. «Ci sto pensando, valuterò nei prossimi giorni». Il problema è trovare un volo che porti in Europa. Vasco Rossi, giusto per fare un esempio, è riuscito a rientrare solo venerdì scorso grazie ad un volo privato «e so di altri connazionali che, per arrivare in Italia, sono dovuti passare da Dubai. Ma, a prescindere dalle difficoltà logistiche, preferirei comunque trascorrere la quarantena a casa mia, a Imola, con mia mamma, col nostro servizio sanitario nazionale, piuttosto che qui, a New York, da solo, con la sanità americana a pagamento».
La mamma di Matteo Marchi è una oss (operatrice socio sanitaria) e lavora in prima linea da settimane all’ospedale di Imola. «Mia mamma è in pediatria. Da giorni ripete che la situazione è delirante, come in tutti gli ospedali. Battaglia, combatte con i colleghi e con medici ed infermieri. Imola, al momento, visto il quadro generale italiano e dell’Emilia Romagna, è fortunata. Guardate quello che sta succedendo a Medicina. Penso, però, che se tutti rispetteremo le regole, ne usciremo».

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