Ritengo di essere coinvolto in modo particolare rispetto agli altri ex allievi dell’Istituto Santa Cristina di Bologna dalla conoscenza di don Tonino Bello, non perché lo abbia frequentato più degli altri né per mia scelta, ma per il fatto di essere stato come lui chiamato al ministero episcopale. Il 1° ottobre 1960, quando entrai in quello che allora era il seminario nazionale per la formazione dei cappellani del lavoro, don Bello era rientrato da due anni nella sua diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca. Il ricordo, anzi il fascino di lui, era però ancora ben vivo tanto fra gli educatori come tra i seminaristi. Il seminario Santa Cristina di Bologna stava attraversando – in seno all’Opera Nazionale per l’Assistenza Religiosa e Morale agli operai (Onarmo), sotto la guida del suo fondatore e primo presidente, monsignor Ferdinando Baldelli, – la fase del consolidamento istituzionale. Baldelli era stato chiamato l’anno precedente all’episcopato da san Giovanni XXIII.
Gli ex allievi sacerdoti – da monsignor Angelo Magagnoli e monsignor Giulio Salmi fino a don Bernardo Randazzo di Caltanissetta, ordinato in quell’anno – erano ancora giovani e nel pieno del ministero rivolto specificamente agli ambienti di lavoro. Veramente, non tutti i quaranta sacerdoti formati nel seminario Santa Cristina erano stati inviati dai loro vescovi nelle fabbriche, ma tutti avevano assorbito uno stile missionario e compiuto esperienze pastorali negli ambienti di lavoro, oltre a seguire le lezioni impartite nel Centro studi sociali. In seno al presbiterio delle loro rispettive diocesi la formazione ricevuta a Bologna li distingueva e li caricava di responsabilità.
Non mancavano in quella fase le occasioni di confronto delle esperienze e di ulteriore elaborazione del metodo pastorale, in sinergia con l’apostolato delle assistenti sociali, delle Unioni professionali e del Patronato Onarmo. Fu in occasione di un incontro organizzativo dell’Onarmo che per la prima volta tornò a Bologna don Bello, divenuto nel frattempo vicerettore del seminario della sua diocesi e teologo personale del suo vescovo Ruotolo. Iniziava infatti il Concilio Vaticano II e i vescovi, con i propri collaboratori, si assentavano dalle proprie sedi trattenendosi per interi mesi a Roma. Anche nel Seminario bolognese si respirava l’aria del Concilio.
Quando nel 1963 morì monsignor Baldelli e quando negli anni successivi furono avviate nuove strutture pastorali che legarono maggiormente l’apostolato sociale alle diocesi, i contatti tra gli ex allievi del piccolo seminario specializzato proseguirono, facendo registrare qualche nuova visita di don Tonino Bello, finché nel 1980 a 45 anni di età egli fu ordinato vescovo di Molfetta. Il rettore monsignor Angelo Magagnoli volle essere presente alla sua ordinazione, portando in dono (anche da parte mia, divenuto nel frattempo vice rettore del seminario Santa Cristina), una croce pettorale che era appartenuta al cardinal Giacomo Lercaro. Questi aveva a suo tempo conosciuto e apprezzato il giovane prete salentino, tanto da chiedere a Ruotolo di lasciarlo a Bologna, ma aveva ricevuto un fermo benché cortese rifiuto.
Precedentemente, quando nel Natale del 1968 Paolo VI aveva celebrato la Messa di mezzanotte nell’Italsider – ora Ilva – di Taranto, fui inviato come segretario del Centro Studi Sociali del Seminario Santa Cristina a quel momento alto di dialogo tra Chiesa e mondo del lavoro. Don Tonino non poté unirsi a me in quella circostanza, ma mi ricevette ad Ugento, che dista da Taranto un’ottantina di chilometri, e mi fece incontrare il responsabile della pastorale sociale di Taranto.
Per tutti gli anni Ottanta si intensificarono i contatti tra l’antico rettore don Angelo Magagnoli e l’alunno diventato pastore di una diocesi che ospitava la sede del seminario regionale delle Puglie. Divenuto anche presidente di Pax Christi, don Tonino viaggiava spesso e si trovava a passare anche da Bologna, dove fu invitato a tenere incontri e presiedere celebrazioni. Da questi contatti fui favorito anch’io, condividendo la sensibilità, l’entusiasmo e qualche venatura di amarezza di fronte alle posizioni coraggiose del nostro ex alunno, non sempre compreso.
Così, attraverso il rapporto singolare di familiarità che univa monsignor Magagnoli a don Tonino, seguii la sua opera finché l’insorgere e l’aggravamento della malattia lo condusse alla morte, vissuta con estrema lucidità e sempre in atteggiamento sacerdotale di disponibilità per gli altri. Anch’io potei parlare brevemente con lui al telefono pochi giorni prima di quel 20 aprile 1993, che papa Francesco ha voluto ricordare recandosi nel XXV° anniversario ad Alessano. Non scesi a Molfetta per il funerale, lasciando a monsignor Pietro Fabbri di Forlì e a don Edoardo Magnani di Bologna l’incarico di rappresentare gli ex allievi; ma sono riuscito ad essere presente ad Alessano con alcuni ex seminaristi ora che il papa stesso ha reso omaggio alla tomba di questo “vescovo fatto Vangelo”. Un quarto di secolo non ha fatto svanire né l’impronta comune della formazione ricevuta a Bologna, né la continuità di una vicinanza ai lavoratori, specialmente alle vittime delle ingiustizie e ai giovani che cercano il loro posto nella società. Altri sacerdoti e laici passati dal seminario Santa Cristina di Bologna hanno condiviso per intero la formazione seminaristica con don Tonino, mentre io l’ho seguito relativamente poco e da lontano. Quando nell’estate scorsa organizzammo un pellegrinaggio di ex allievi del seminario Santa Cristina ad Alessano, si poterono ascoltare da alcuni di loro ricordi importanti e toccanti, che meriterebbero di venire raccolti per iscritto. Tuttavia, come vescovo avverto una condivisione peculiare con lui e una responsabilità che mi avvicina sempre più alla sua testimonianza, facendomi tremare e gioire nello stesso tempo. Mi sembra infatti di avere ereditato, a causa del cammino formativo comune, una certa parte della sua missione e di dover ancora onorare questo lascito benché io sia ormai anziano e benché il mondo del lavoro evolva tanto in fretta.
Don Tonino Bello, “un vescovo divenuto angelo”
