“Lion – La strada verso casa” (2017) è il primo lungometraggio del giovane regista australiano Garth Davis: Prima di questo lavoro ha diretto numerosi spot pubblicitari per importanti aziende. Il film ha riscosso notevole successo ottenendo 6 candidature a Premi Oscar, 1 candidatura a David di Donatello, 4 candidature a Golden Globes, 5 candidature e vinto 2 Bafta.
Il film è tratto da una storia realmente accaduta. Nella metà degli anni’80 tra l’India e l’Australia il piccolo Saroo a soli 5 anni si ritrova lontano da casa. Accolto in un orfanotrofio di Calcutta viene adottato da una famiglia australiana: per lui inizia una nuova vita e l’occasione per rivisitare la sua storia.
Il regista provenendo dal mondo pubblicitario usa con creatività e sapienza la musica e la fotografia. Quest’ultima, in particolare, ci consente di incontrare e gustare dei bellissimi paesaggi che fanno da sfondo alla storia. Spesso la musica e la fotografia si mostrano molto efficaci nel sostenere ed esaltare la drammaticità della narrazione.
Il film offre diversi spunti di riflessione legati al tema principale dell’adozione e alle complesse dinamiche che da questa scaturiscono.
Saroo reagisce a questo nuovo inizio in maniera differente rispetto al fratello Mantosh, anche lui adottato dalla famiglia australiana. Saroo è resiliente, riesce a reagire e vivere quella vita che in quel momento gli viene proposta in un contesto culturale completamente diverso dal suo portando con sé anche in maniera conflittuale quel bagaglio che è la sua storia passata spesso considerata più un peso che un dono.
I genitori adottivi con responsabilità e un grande desiderio di amarlo lo accompagnano nella sua crescita riconoscendo che per il suo bene è buono stare a volte davanti, a volte di fianco, a volte dietro di lui. Il compimento di questa relazione educativa si compie nel “lasciare andare”. Ciò risulta evidente anche nella relazione di coppia che Saroo vive: la sua ragazza, nel momento in cui lui le confida il suo desiderio di fare i conti seriamente con il suo passato, accetta di mettersi da parte perché lui possa essere libero.
In una scena del film, che è l’unica che presento per non anticipare nessun dettaglio rilevante del film, questo emerge con chiarezza.
Saroo teme di essere stato solo un peso e una fatica per i suoi genitori, in modo particolare per sua madre che soffre molto per il fatto che Mantosh non vive con serenità questa sua identità di figlio adottato.
Quando Saroo le confida: “Non pensavi che fosse così difficile” lei risponde: “Non è un problema di difficoltà. Era proprio questo il mio destino. Io l’ho sempre saputo”. Amare è accettare la possibilità di essere feriti.
Nella faticosa ma avvincente esperienza di riconciliazione con il suo passato Saroo scopre che già nel suo nome abita la sua identità più profonda.
Tutto questo avviene grazie alle positive figure che hanno guidato il protagonista lungo il suo cammino di crescita.
Potrei concludere citando A. Arioli che afferma: “È la fatica educativa di ogni giorno quella di immedesimarsi senza proiettare, identificarsi senza sostituirsi, interessarsi senza invadere, promuovere l’autonomia senza mostrarsi lontani o distanti”.