Di fronte al terrorismo che getta nella paura, che arriva a servirsi dei bambini per seminare la morte, ci si domanda costernati: dove stiamo andando? Come può essere che solo un cataclisma naturale, come quello che ha colpito alcuni piccoli centri del nostro Paese, riesca a distogliere momentaneamente la nostra attenzione dalle efferatezze pressoché quotidiane del Daesh, alle quali eserciti regolari e irregolari sembrano non trovare altro rimedio se non aggiungendo in altre efferatezze? È questo il Giubileo della Misericordia, è questo “l’anno di grazia del Signore”, è questo il frutto delle celebrazioni, dei pellegrinaggi, degli incontri in Piazza San Pietro e a Cracovia? Si tratta forse di due realtà parallele, quella spirituale e quella mondana, per cui da una parte c’è tanto bene, vengono alimentate tante speranze, mentre dall’altra inesorabile prosegue lo scempio compiuto da poteri più o meno occulti, resi folli dalla loro ricerca di supremazia ad ogni costo? Una delle cose che più mi sgomentano, fino a togliermi il sonno, è il ricorso ormai sistematico al suicidio finalizzato alla strage. Che volontà distruttiva è mai questa, messa in opera servendosi proprio di giovani e giovanissimi perché più inconsapevoli, più disposti a lasciarsi privare del bene primario della vita? Può esserci nichilismo più estremo? Se in tutto ciò non è evidente la mano di Satana, non saprei in che cosa altro si possa vederla. Il disegno politico che mira ad indebolire in questo modo le grandi potenze occidentali, preparando il terreno ad un regime assoluto di tipo teocratico, è veramente diabolico. Ma, come faceva osservare Gesù ai suoi contemporanei, «Se Satana scaccia Satana, vuol dire che è diviso in sé stesso; come dunque potrà stare in piedi il suo regno?» (Mt 12,26). Su questa osservazione si fonda la speranza cristiana: c’è effettivamente uno più forte di Satana e sarà lui ad avere l’ultima parola, anche se nel frattempo gli innocenti continuano a morire e chi resta continua a soffrire. Solo se abbiamo per grazia la prospettiva, anzi la certezza della vittoria di Cristo, riusciremo ad accettare il cumulo di sofferenze che caratterizzano questi nostri giorni. In ogni altra prospettiva, si corre il serio rischio di rimanerne schiacciati. Al terremoto fisico, se ne associa infatti uno spirituale, non meno disastroso. La solidarietà che da più parti viene manifestata, in queste circostanze e che certamente supera per valore ed ampiezza la vastità del male, non è percepibile se non molto parzialmente, perciò da sola rimane inappagante. C’è bisogno ancora dello sguardo penetrante dei profeti, c’è bisogno del loro grido, per far sì che il cuore umano percepisca il primo chiarore dell’alba in mezzo a tante tenebre. I profeti sono indispensabili, chiediamo a Dio di inviarli, chiediamo la grazia di saperli ascoltare.