10, Luglio, 2025

Lettera al clero dopo l’assemblea della Cei

Cari sacerdoti, riguardo all’assemblea svoltasi a Roma la settimana scorsa tra tutti i vescovi italiani, avrete letto su Avvenire il discorso di apertura di papa Francesco; vi segnalo anche il comunicato finale, pubblicato sabato. Aggiungo alcune mie sottolineature, soprattutto perché l’argomento principale dell’assemblea – la formazione permanente del clero – ci coinvolge direttamente. Lo affrontai con voi due anni fa a Valsenio, in occasione del ritiro di giugno ed ebbi l’occasione di approfondirlo successivamente nell’assemblea straordinaria dei vescovi nel novembre dello stesso anno. Anzitutto, la nostra formazione si rapporta alle esigenze pastorali, che sono in rapida evoluzione, tanto che si può parlare di un cambio d’epoca. Dalla progressiva presa di coscienza dell’unità del presbiterio diocesano attorno al vescovo, dalla diversa distribuzione dei preti sul territorio e dalla crescente corresponsabilità dei fedeli, viene valorizzata e suggerita sempre più la vita comune dei preti, mentre tende a ridimensionarsi l’ideale del parroco interamente dedito alla cura d’anime, come colui che presidia a tempo pieno la sua comunità, dando luogo ad una identificazione nella sua persona non solo di Gesù buon pastore ma anche della comunità stessa. Il rischio che si ora intravede è quello di una certa complicazione nei processi decisionali e della perdita di una figura di riferimento ben precisa. In compenso, in seno al presbiterio emergono più facilmente diverse competenze, tra loro complementari, mentre diminuisce la tendenza all’accentramento e al clericalismo. In effetti, si può parlare di fraternità sacerdotale (solamente) nella misura in cui si sviluppa la“forma plurale” del ministero. La comune appartenenza al popolo di Dio e la condivisione della fede – ha poi fatto notare il Papa – viene prima dell’appartenenza al presbiterio. I cambiamenti ora accennati si ripercuotono senza dubbio sull’equilibrio personale del prete, sul sistema formativo e in particolare sulla pastorale vocazionale. Già Paolo VI nell’Evangelii Nuntiandi (1971) paventava il rischio della mancanza di fervore, della negligenza, della carenza di gioia e di speranza e raccomandava: “Conserviamo la dolce e confortante gioia di evangelizzare!” (EN,80). Un rischio dal quale il Papa mette continuamente in guardia è, come sappiamo, quello della “chiacchera”, espressione di invidia e di gelosia, o semplicemente di sfiducia. Il miglior rimedio è, con la preghiera, l’avvio di esperienze di vita comune che seguano il criterio della gradualità.

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