10, Luglio, 2025

In Indonesia “è forte il senso di appartenenza alla Chiesa”

Abbiamo intervistato frate Valerio Folli, dei frati minori conventuali della provincia italiana Sant’Antonio di Padova, originario della parrocchia di Chiusura a Imola. Da due anni è segretario del Centro provinciale missioni (Cpm) della provincia. Gli abbiamo chiesto di raccontarci in che cosa consiste questo particolare servizio alla missione.

 

Carissimo fra Valerio, raccontaci di te e dell’incarico che ora ricopri per la Provincia.

«Ho 41 anni, di comunità sono a Padova, da due anni sono segretario del Cpm della provincia italiana Sant’Antonio di Padova. Mi occupo dell’animazione missionaria, che significa sensibilizzare i singoli e i gruppi al tema della vocazione missionaria, propria di ogni battezzato, informare delle realtà caritative promosse dai missionari, e seguire, per conto del ministro provinciale fra Giovanni Voltan, le missioni dei frati minori Conventuali in Indonesia, Cile e Ghana. Dalla nostra provincia religiosa dipendono anche il Portogallo e la Francia-Belgio, e alcuni frati che sono presenti anche in Zambia, Kazakistan, Brasile e Argentina».

 

Sappiamo che questo impegno ti porta anche a viaggiare e incontrare le realtà di missione. Sono incontri che lasciano il segno…

«In questi anni ho avuto la possibilità di conoscere la maggior parte di queste terre di missione e in ciascuna esperienza ho potuto cogliere la bellezza della presenza del Signore, che si manifesta nel volto dei missionari che annunciano il Vangelo e spezzano il pane; nel volto di tanti uomini e donne che si spendono per aiutare i poveri, i bambini, i malati; nel volto di famiglie che annunciano l’amore di Dio; nei volti delle comunità cristiane; nelle meraviglie del creato. Sento una profonda gratitudine per tutto quello che ho ricevuto in questi anni, in particolare la grazia di partecipare all’opera che Dio compie nell’umanità attraverso la Chiesa. Insieme a tanta gioia, mi porto nel cuore anche il dolore per aver visto sofferenza, solitudine, povertà, ingiustizie: di fronte al male non si può che rimanere feriti; occorre invece aprire gli occhi soprattutto davanti al bene che abbiamo e di cui non ci rendiamo conto».

 

Dicevi che fra le missioni dei frati conventuali c’è anche l’Indonesia, una zona in cui i cristiani cattolici sono una piccola minoranza…

«Il mio servizio di segretario mi porta spesso a visitare le varie missioni, in particolare la missione Indonesiana, di cui sono referente, sorta nel 1968 e intitolata a Maria Immacolata. È una realtà ecclesiale molto bella, anche se i cristiani sono pochissimi: a fronte dell’86% della popolazione di fede musulmana, i cattolici sono circa il 3%. Ogni cento metri si trova una moschea e il ritmo del giorno è scandito dal canto dei muezzin. L’ambiente è molto povero e mancano molte cose, ma il paese ha una enorme ricchezza intrinseca, anche dal punto di vista umano. Il senso di appartenenza alla Chiesa, nonostante le difficoltà, è forte».

 

Come si attua la vostra presenza missionaria?

«A Delitua (Sumatra) la nostra comunità francescana svolge il suo ministero nella parrocchia e in sessanta stazioni: una volta al mese i frati, una decina, vanno a turno a celebrare la messa in queste cappelle di periferia. È interessante vedere come le comunità crescano anche senza la presenza fissa del sacerdote. Con responsabilità e partecipazione ognuno dà il suo contributo alla vita della comunità: come catechisti, nel consiglio pastorale, nel consiglio economico, ecc. Quando si riesce a celebrare la messa si sente che la comunità è viva e si respira un clima di festa: è un modo di vivere la Chiesa che fa riflettere».

 

Una realtà ben diversa da quella che sperimentiamo in Italia…

«Se in occidente ci lamentiamo per il fatto che abbiamo pochi preti, e questo influisce nella vita delle comunità, andando in missione si capisce che il Signore chiama tutti a costruire la Chiesa! In Indonesia i frati svolgono il loro ministero e, da parte della gente, c’è la voglia di mettersi in gioco. Anche in occidente possiamo crescere come comunità dando a tutti l’opportunità di sentirsi corresponsabili».

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