Per me, il presule che per un ventennio guidò la Chiesa di Bologna e presiedette l’attività collegiale dei Vescovi dell’Emilia Romagna è stato soprattutto colui che ha rianimato e sostenuto sul piano dottrinale e operativo la fede di una popolazione che continuava a subire il fuoco incrociato del laicismo marxista e di quello massonico, soffrendo soprattutto per i rischi di cedimento sul piano spirituale e culturale. L’identità cristiana rischiava di venir sacrificata agli interessi delle “aperture a sinistra”, ossia alla modernità, per l’insinuarsi di un senso di inferiorità e di un malinteso “compromesso storico” che finivano per dividere anziché cementare maggiormente il laicato cattolico. La stampa cosiddetta d’informazione, o stampa laica, prese subito di mira il nuovo arcivescovo di Bologna, quando venne inviato da Giovanni Paolo II nella sede di san Petronio, togliendolo dalla Città ambrosiana dove la diversa sensibilità del card. Carlo Maria Martini lo aveva trasformato da “sua eccellenza” in “sua eccedenza”. Giacomo Biffi fu sempre dipinto come conservatore e anticomunista, anche quando prendeva posizioni avanzate e addirittura spregiudicate in ambito sociale. Egli sapeva ridere di ciò, rivendicando ad esempio le sue radici popolane e il suo tenore di vita familiare tutt’altro che borghese. Con discrezione intervenne più volte ed efficacemente in occasione di crisi aziendali, fu sostenitore di preti e laici impegnati nel sociale, come don Giulio Salmi e Giovanni Bersani; apprezzava molto l’attività del Patronato Acli e con sofferta passione seguiva le vicissitudini delle associazioni di lavoratori cristiani, intervenendo con autorevolezza a loro sostegno, sempre nel rispetto della loro autonomia. Non lo faceva per calcolo politico, ma per schietto amore ad uomini e donne generosi, che pagavano di persona, tra i quali egli annoverava i suoi veri amici. Tra i risvolti dell’arguta personalità dell’Arcivescovo Emerito di Bologna c’era anche quello dell’italianità e quindi dell’amore, non declamato ma profondo, per la nostra Patria, con la sua storia, la sua lingua, il suo inestimabile patrimonio spirituale e artistico. Da allievo prediletto di quel fine letterato che era stato il card. Giovanni Colombo, dapprima suo insegnante e rettore di seminario, poi suo arcivescovo, Giacomo Biffi non solo conosceva ma amava i classici della nostra letteratura. Poche invece le sue incursioni nelle opere dei grandi scrittori stranieri, come ad esempio Soloviev e Chesterton. Alcuni temi di storia e letteratura da lui trattati: il Risorgimento e Collodi; l’epoca napoleonica e Riccardo Bacchelli. La sua autobiografia (Memorie di un Italiano Cardinale, riecheggiante nel titolo il capolavoro di Ippolito Nievo, Memorie di un Italiano) possiede un notevole valore letterario. In particolare, sono per me esemplari le pagine dedicate alla vita di oratorio nella Milano dell’epoca fascista. Personalmente debbo molto al Cardinale, soprattutto perché fu lui ad ordinarmi vescovo tredici anni fa. Ritenendolo mio maestro, avverto in questa circostanza una viva commozione e mi conforta partecipare non da solo, ma accompagnato da preti e laici di diversa estrazione, alle onoranze che la Chiesa gli rende, sia con la preghiera di suffragio, sia con le opere di carità.