Il moltiplicarsi di stragi, attentati e assalti operati da fanatici terroristi islamici in Europa rende di drammatica attualità il profilo degli attentatori: quasi tutti sono giovani appartenenti a famiglie musulmane, nati o cresciuti nel nostro continente, a volte anche di origine europea convertiti alla fede in Allah. La forza attrattiva e l’influenza culturale su cui si fonda la civiltà occidentale, con i suoi valori di democrazia, libertà, tolleranza, pluralismo, non hanno sortito nessun effetto su queste persone; anzi paradossalmente hanno provocato in loro un rigetto sprezzante e irrevocabile. È possibile che una civiltà come la nostra, così antica, ricca di fascino, fondata sul cristianesimo e sulla libertà, verità, centralità dell’uomo e della bellezza, sia ormai sfiorita e isterilita? Il magnifico edificio costruito in oltre due millenni di storia si è trasformato in un palazzo disadorno e disabitato? Una delle cause principali va ricercata in un’opera pervicace di svuotamento dall’interno attuata con sistematicità e per molti decenni da parte di forze politiche, ideologie e correnti di pensiero che vedevano – più o meno surrettiziamente – l’accoglienza, l’integrazione e l’attenzione egualitaria alla fede islamica, (posizioni giuste e condivisibili) espresse in modo supino e acritico, come un mezzo per limitare, relativizzare, contenere e svuotare di significato la fede e la civiltà su cui l’Europa si fonda. Uno degli esempi più eclatanti è rappresentato dall’interdizione del presepe nelle scuole statali, per non offendere o discriminare gli alunni di fede islamica. Molto spesso erano amministratori pubblici, insegnanti o dirigenti scolastici a propugnare questa soluzione, ignorando che la religione islamica venera grandemente sia Maria che Gesù. L’errore di fondo è stato quello di credere che il dialogo tra fedi diverse potesse essere facilitato dalla edulcorazione della propria fede. Si è trasmessa invece la percezione che la fede cristiana venisse relativizzata
perché neppure suoi esponenti erano veramente convinti della sua autenticità. Un dialogo autentico invece non può che essere fondato sulla coscienza della propria identità. Lo ha ricordato di recente con chiarezza papa Francesco: «… come insegna l’esperienza, perché tale dialogo ed incontro sia efficace, deve fondarsi su una presentazione piena e schietta delle nostre rispettive convinzioni. Spero che la collaborazione interreligiosa ed ecumenica dimostrerà che, per vivere in armonia con i loro fratelli e sorelle, gli uomini e le donne non devono dimenticare la propria identità, sia essa etnicao religiosa».