10, Luglio, 2025

Al molo di Hong Kong, pizza, tortellini, garganelli

Tanti nomi noti in questa pagina…Antonio Di Cesare, già chef all’Osteria Callegherie, si trova ora per due anni al ristorante “Al Molo” di Hong Kong come manager, chiamato da Michael White, lo chef americano che ha lavorato per sette anni a Imola al San Domenico per poi aprire i suoi locali a New York. Abbiamo intervistato White nel 2009 in occasione di un suo passaggio a Imola. Nello stesso periodo abbiamo scritto di Giovanna Cornacchione, imolese che Michael ha portato con sé negli Usa, ed è diventata sua moglie. In tempi più recenti abbiamo raccontato di Antonio Di Cesare, abruzzese trapiantato da vent’anni a Imola, così come di sua moglie Susan, originaria di Singapore. La loro figlia, Kimberly, nota pattinatrice, ha trovato spesso spazio nelle pagine dello sport. All’appello ci manca il figlio Alessandro, presto o tardi verrà anche il suo turno?

È entrato come collaboratore nel team del gruppo Dining Concepts – creato da due indiani che in terra asiatica hanno riunito qualcosa come 22 locali con cucine di tutte le nazioni – lo chef americano Michael White, un’esperienza di sette anni al San Domenico di Imola qualche anno fa, la proprietà di alcuni ristoranti italiani a New York oggi. E a Hong Kong ha lanciato la sua nuova creatura, il più recente locale del Dining Concepts group. Così la cucina italiana si è fatta strada a Hong Kong nei grandi spazi che hanno aperto al pubblico nel maggio 2011. Ora, come consulente di Al Molo, è arrivato lo chef imolese Antonio Di Cesare, prima impegnato da una decina di anni a Imola all’Osteria Callegherie. «Non è la mia “prima volta” in Asia – racconta Antonio al telefono – ci sono già stato 23 anni fa…. Ora tutto qui è molto cambiato, la richiesta di cucina italiana è imponente. Fortunatamente non ho problemi con l’inglese avendo lavorato vari anni a New York, qualche volta i problemi sorgono con i collaboratori che non conoscono questa lingua, ma imparerò un po’ anche la loro. Nonostante conoscessi Hong Kong, la prima settimana mi sono sentito un po’ spaesato, trovandomi catapultato dalla tranquilla Imola in questa enorme città che conta otto milioni di abitanti, dove il traffico è caotico, dove le contraddizioni sono tante, dove ci sono molti emigrati italiani che però sembrano a volte vergognarsi delle loro origini, tanto che molti di loro non hanno insegnato la nostra lingua ai loro figli. Sono qui da quasi tre mesi e ormai mi sono ambientato: il mio compito a “Al Molo” è quello di essere il supervisore di ciò che si cucina, rappresento la figura di White, che tuttavia una volta al mese arriva da New York e trascorre qualche giornata con noi. Opero con la manodopera locale, 18 cuochi e un grande staff di sala, 5 assistenti manager e 15 persone che servono in tavola. “Al Molo” è situato in uno dei posti più belli e caratteristici della città, si affaccia sul Victoria Harbour. Il mio compito è “testare” i piatti, insegnare i segreti della cucina italiana ai collaboratori. Da quando sono arrivato ho cambiato una decina di piatti tra quelli presenti nel menu, ho apportato alcune correzioni a varie ricette, adattandole perché il risultato sia il più possibile vicino al gusto della clientela. La cucina italiana, pur mantenendo le nostre tradizioni, va adattata alle abitudini gastronomiche della gente del posto: spaghetti ad esempio non troppo al dente perché siano più simili ai loro spaghetti di riso, più soffici dei nostri, verdure invece un po’ al dente secondo il loro gusto. Vorrei sfatare la nostra convinzione che solo i cuochi italiani cucinino bene: i ragazzi qui hanno tanta voglia di imparare, sono disponibili ad ascoltare, si pongono con umiltà, diventano davvero bravi, non hanno paura di affrontare qualche durezza della vita, si mettono in ballo e si sacrificano senza batter ciglio. Il personale mi segue con grande rispetto, condivide i miei suggerimenti, si lavora in équipe. Cerco di fare assaggiare sia ai cuochi che ai camerieri ogni piatto dopo le variazioni che apporto alle ricette e nel menu, perché a loro volta sappiano spiegare al cliente ciò che gli viene servito. Lavoriamo in un reciproco rapporto di fiducia ed io cerco di coinvolgere tutti nelle decisioni che prendo, chiedendo anche che ognuno lasci un suo commento ». Quali sono i piatti proposti nel locale? «La pizza, tortellini in brodo e garganelli (pasta rigorosamente fatta in casa), risotti, amatriciana, osso buco, pesce, insomma tutto ciò che si potrebbe trovare in un ristorante italiano. La materia prima è facilmente reperibile, più facilmente che a New York, la carne è molto buona, i prodotti italiani ovviamente sono un po’ cari, ma sono freschi e di qualità. Nei giorni di punta qui si arriva anche a 550 coperti al giorno tra pranzo e cena. Il ristorante è aperto sette gironi su sette con orario continuato sino alle 10 di sera». Quanto resterà a Hong Kong? «Il mio contratto parla di un paio di anni, poi rientrerò a Imola, la mia famiglia mi manca e credo di mancare a loro. Naturalmente ho nel cuore anche l’Osteria Callegherie e Leonardo Mantovani, con il quale non perderò i contatti. Mia moglie Susan e i miei figli Alessandro e Kimberly sono stati qui per le vacanze di Natale, così abbiamo nfesteggiato insieme anche l’arrivo del nuovo anno».

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