10, Luglio, 2025

«Cosa non amo di questo paese? Le regole non vengono rispettate»

Singapore è una città-stato insulare del sud-est asiatico, sulla punta meridionale della penisola malese. Un paese con una lunga storia di immigrazione, nel quale risiedono moltissimi discendenti di immigranti che vi giunsero grazie ai colonialisti britannici. Oggi è abitata da cinesi, malesi, indiani e altre discendenze di asiatici ed europei e da quasi cinquant’anni è una repubblica indipendente. Da qui proviene Susan Yeo Sock Choo, una bella signora cinquantenne che, innanzitutto, ci spiega come è composto il suo nome: Susan è il nomignolo che usa in Europa, Yeo il cognome, che nei paesi asiatici si premette sempre al nome, e Sock Choo il nome, che significa “Preziosa”. Curiosa di conoscere altre realtà, giovanissima Susan si è trasferita a New York dove ha intrapreso gli studi ad indirizzo alberghiero conseguendo il bachelor’s degree, la laurea nel management di alberghi e ristoranti: «Studiavo e contemporaneamente lavoravo nei ristoranti per mantenermi agli studi. È stato così che al Cipriani di New York ho incontrato uno chef italiano di origine abruzzese, Antonio Di Cesare. Voleva portarmi in Italia, ma io dovevo completare gli studi. Purché li terminassi velocemente, Antonio mi ha aiutata a pagare le tasse scolastiche in modo che per quell’ultimo periodo io potessi dedicarmi completamente allo studio senza dover lavorare. E così è stato. Ottenuto il mio “bachelor” siamo partiti alla volta dell’Abruzzo e lì, nell’88, ci siamo sposati in chiesa. A Singapore ci siamo invece sposati con il rito civile. Io sono sempre stata cattolica, nonostante mio padre fosse buddista. Questo accade sovente a Singapore, dove anche all’interno della stessa famiglia si possono trovare persone che professano religioni diverse. Mio padre era di origini cinesi, la mia mamma è originaria dell’Indonesia. Lui buddista e lei cristiana, poi convertitasi al buddismo con il matrimonio. A Singapore convivono pacificamente musulmani, induisti, taoisti, buddisti e cristiani, islamici ed ebrei, così come persone delle più varie etnie. Nella mia famiglia si è sempre parlato inglese, il cinese l’ho studiato a scuola, lo parlo abbastanza, ma ho difficoltà a leggere e scrivere in cinese». Proseguendo con la storia di Susan, dopo tre mesi trascorsi in Abruzzo, il marito viene contattato da Valentino del San Domenico di Imola ed eccoli approdare in Romagna, dove entrambi iniziano a lavorare dal signor Morini, lui come chef e lei come pasticcera. Poi Susan passa al Molino Rosso: «Staccarmi da Antonio era l’unico modo per poter imparare l’italiano. Accanto a lui avevo vita facile in questo senso, c’era sempre lui a fare da interprete. Nel frattempo erano nati due figli, Alessandro, ora ventenne, e Kimberly, che oggi ne ha 14. Mi sono trovata ad un certo punto a non sapere come gestirli, soprattutto quando non erano a scuola. Non potendo contare sull’aiuto di nessuno, non avendo qui nonni o zii, ho dovuto optare per un lavoro che mi lasciasse il più possibile libera la sera e il fine settimana. Ho lavorato come cuoca al centro di solidarietà, e intanto seguivo i corsi di italiano per stranieri alle Orsini. Poi ho studiato per conseguire il diploma di scuola media, così, oltre a migliorare la lingua, ho imparato molte cose sulla storia e la geografia dell’Italia. Successivamente ho lavorato da Berti, poi al self service di Toscanella e per quattro anni sono stata la cuoca dei bimbi dell’Oasi delle Piccole suore di Santa Teresa del Bambin Gesù. Ora sono cuoca al convento dei Cappuccini, preparo i pasti per i frati. In Italia mi trovo bene, solo all’inizio mi sono sentita qualche volta un po’ discriminata perché straniera, ma accadeva soprattutto con le persone anziane. Ora le cose mi sembrano cambiate. Vengo da un paese multirazziale dove coesistono differenti culture, costumi, religioni, feste e persino
gastronomie, dove c’è sempre comprensione per l’altro e molta armonia e in Italia ho trovato qualche persona un po’ razzista, una caratteristica che non conoscevo. Qualcosa che non mi piace dell’Italia? Il fatto che troppo spesso le regole non vengano rispettate. Si dice con un gioco di parole che “Singapore is a fine country”, dove “fine” significa bello, piacevole, ma anche “multa”. Singapore colpisce chi viene dall’estero per la sua pulizia e l’ordine, e per le tantissime regole che i cittadini devono rispettare, pena multe salate. Non si butta nulla per terra, non sono in vendita i chewing gum, le gommine americane, perché sporcano irrimediabilmente strade e marciapiedi e ripulirli ha costi alti e inutili. Si attraversa la strada sempre e solon sulle strisce pedonali. Poi mi colpisce che molte persone in Italia non conoscano le parole dell’Inno di Mameli: da noi si canta l’inno all’inizio e alla fine delle lezioni fin dai primi anni di scuola. La cucina? Ho imparato a cucinare i piatti italiani, ma in casa a volte preparo le specialità cinesi e indonesiane, piatti con il curry, pollo, soia, seppioline fritte. Hobby? Mi piace ricamare a punto croce, ma non ho troppo tempo per dedicarmici… Mi piace fare shopping, a Singapore si dice “shop til you drop”, comperare fino allo sfinimento….».

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