11, Luglio, 2025

Ambra, tra corsi di lingua e vita quotidiana

Dalla capitale della repubblica popolare cinese, ecco Ambra Tondini. Liceo linguistico a Imola, università a Modena e poi… via verso l’Oriente.

«Conseguita all’Università di Modena e Reggio Emilia la laurea breve in Lingue e culture europee, ho proseguito il mio percorso per la laurea magistrale in “Lingue per la comunicazione nell’impresa e nelle organizzazioni internazionali” e tra qualche mese discuterò la tesi della specializzazione. Ora sono in Cina, frequento corsi di lingua cinese all'”Università di Pechino di Lingue e cultura”. Partita da Imola lo scorso mese di febbraio, ho frequentato qui un corso semestrale intensivo e sono rientrata per le vacanze estive trascorse in Italia. A fine agosto sono tornata a Pechino per il successivo corso di tre mesi, che mi impegna 20 ore alla settimana ed è frequentato da giapponesi, coreani, americani, indonesiani… La mattina seguo le lezioni, nel pomeriggio svolgo ricerche per la tesi di laurea e mi rendo reperibile per un’azienda presso la quale lavoro. Nel primo semestre di corso vivevo in un campus, ora sono in un appartamento con altri quattro ragazzi e ragazze austriaci e canadesi. I professori parlano rigorosamente in cinese, solo nelle classi ricorrono a qualche parola in inglese qualora debbano ribadire un concetto che non risulti chiaro. Perché ho scelto questa lingua? Tutto è iniziato per gioco. Volevo studiare una lingua diversa, dopo anni d’inglese, spagnolo e francese. Mi sentivo ripetere da tutti che “lo spagnolo non è una lingua difficile, basta aggiungere una “s” alla fine delle parole!”. Allora ho pensato: “adesso imparo il cinese, vediamo se oserete ripeterlo!”. Alla fine mi sono appassionata, sembra incredibile, ma nei caratteri e nella grammatica cinesi c’è una certa logica: se ci entri in sintonia, tutto diventa molto affascinante. Solo, non puoi fare corrispondenze con la tua lingua madre, perché il cinese non può essere descritto e spiegato attraverso le stesse categorie grammaticali e logiche di pensiero a cui siamo sempre stati abituati. In Cina si ha una diversa concezione del tempo, dello spazio, è davvero un altro mondo sotto certi aspetti. E questo ovviamente si riflette nella lingua. Cos’altro mi piace qui? L’ho scritto recentemente su Facebook: “Adoro stare in Cina perché mi sento Alice nel paese delle meraviglie. E’ un posto dove ti sembra di camminare a testa in giù. Qui prima dai lo straccio e poi spazzi. Gli operai nei cantieri lavorano dalle 11 di sera alle 5 di mattina. C’è chi infila una radiolina in tasca e inizia a ballare. Gli anziani giocano a majong per strada, oppure scrivono caratteri per terra con un pennellone intinto nell’acqua. Il tempo di finirli, che il sole li ha già cancellati. Qualche cane passeggia con le scarpe”. Quando sono arrivata la prima volta non trovavo punti di riferimento né linguistici né culturali a cui potermi aggrappare. Ma col passare del tempo divento sempre più tollerante e bendisposta nei confronti di quello che mi circonda e ne apprezzo le particolarità. Mi rendo conto solo ora di un fatto forse scontato: è inutile intestardirsi nel voler capire la Cina con una mente da italiana, volerla a tutti i costi far rientrare in uno schema occidentale. E’ un mondo a parte che deve essere vissuto e giudicato con parametri diversi dai nostri, occorre cambiare le proprie aspettative. E’ diversa la concezione del rapporto che il singolo ha con la collettività: i cinesi hanno uno spiccato senso di condivisione e di gruppo rispetto al nostro marcato individualismo. Il singolo si annulla quasi completamente nel gruppo e la concezione di autonomia è pressoché inesistente. Ecco perché i cinesi riescono a vivere in quattro in una stanza minuscola! Non esiste una vera privacy: è incredibile. L’amicizia è un valore importantissimo nella cultura cinese, che soprattutto i giovani coltivano ogni giorno con grande entusiasmo. Sono stata a cena con un’amica della mia professoressa cinese di Modena: mi ha trattato con un rispetto, un’attenzione, un affetto incredibili. E’ stata disponibilissima, tanto da farmi sentire in imbarazzo. E le sue ragioni sono state “gli amici dei miei amici sono miei amici. Ho il dovere morale verso Bianca (la mia prof) di farti sentire bene, voglio farti sentire come se fossi a casa tua”. Quasi sempre lontani dalle loro famiglie, figli unici che vivono ogni giorno sentendosi addosso la pressione e le aspettative dei loro genitori, i cinesi trovano nell’amicizia un grande conforto. Ho capito il motivo di tanti suicidi tra gli studenti cinesi: hanno un motto e lo ripetono in continuazione, “Il tempo è denaro”. Non possono permettersi di sprecare tempo, mai. Il loro obiettivo è arrivare prima degli altri, studiare più degli altri, trovare un lavoro che permetta loro di sopravvivere (e non di vivere). La maggior parte sono poveri, studiano come matti dalla mattina alla sera, senza sosta, si addormentano con la faccia sul libro, poi si svegliano, alzano la testa e ripartono. L’aria che si respira in biblioteca mette ansia appena ne varchi la soglia, non ti senti per niente a tuo agio. Ma non si lamentano mai. Per la mia tesi sto svolgendo per ora un lavoro più di ricerca “sul campo” che sui libri; chiedo interviste e partecipo a eventi culturali organizzati dagli Istituti di cultura. Il quartiere di Pechino in cui vivo, Wudaokou, è un ambiente molto cosmopolita, vivace e moderno, punto di ritrovo per gli studenti stranieri dei campus limitrofi. Ci sono molti locali in cui si può mangiare, bere e ascoltare musica dal vivo. Nei weekend spesso vado con i miei amici nella zona delle ambasciate a Sanlitun, dove si può fare shopping o passeggiare respirando un’aria più occidentale. Nelle giornate di vacanza abbiamo organizzato gite fuori porta, affrontando viaggi anche di dodici ore in treno: esperienze stancanti ma bellissime, che ricorderò per tutta la vita. Il mio futuro? I piani sono abbastanza chiari: vorrei raggiungere una conoscenza del cinese che sia sfruttabile a scopi lavorativi. Purtroppo la strada è più lunga del previsto perché reputo il mio livello di cinese ancora troppo elementare, quindi insufficiente. Ho deciso di chiedere un regalo di laurea un po’ insolito: il finanziamento del prossimo corso di cinese nella medesima università pechinese, da marzo a giugno. A quel punto spero di avere in mano gli strumenti linguistici e una consapevolezza tali da poter prendere decisioni più definitive sulla mia vita. Non escudo la possibilità di lavorare all’estero. Ed ora un pensiero forse un po’ egocentrico: in Cina mi sento speciale, unica. Ci sono luoghi in cui nessuno ha mai visto un occidentale “dal vero”. Mi è capitato di passeggiare per strada e sentirmi gli occhi addosso: ti fissano meravigliati perché hai il naso “alto” e gli occhi grandi. C’è chi chiede gentilmente di poter avere una foto insieme a te, chi te la fa di nascosto. Ci sono ristorantini normalmente rumorosi in cui alla tua entrata cala improvvisamente un silenzio imbarazzante. I pechinesi hanno abbastanza spesso a che fare con gli stranieri, eppure nella mia zona sono etichettata come l'”yidaliren” (l’italiana) e quando passo dal mercato tutti mi salutano allegramente, ma, soprattutto, mi fregano… Quando confronto i prezzi con i miei amici cinesi, convinta di aver fatto un grande affare, puntualmente mi rendo conto di aver pagato il quadruplo! Ciao a tutti, Ambra».

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