Una vita avventurosa, quella di Elmar Loreti, sempre in viaggio e sempre alla ricerca di strade per tutelare i diritti umani. Labbiamo sentito dopo il suo rientro da Tunisi ed ora è ripartito. Meta: il Marocco, Rabat, dove resterà alcuni mesi in qualità di “coordinatore paese” per il Ciss, associazione senza fini di lucro fondata nel 1985 e dal 1989 riconosciuta dal Ministero degli affari esteri come organismo non governativo idoneo a promuovere e realizzare progetti di cooperazione con i Paesi in via di sviluppo.
«Mi chiamo Elmar Loreti, ho 29 anni. Nato a Castel San Pietro, sono cresciuto a Imola, dove ho frequentato il liceo scientifico, per poi iscrivermi alla laurea triennale in Scienze internazionali e diplomatiche a Forlì e, subito dopo, alla specialistica in Relazioni internazionali a Bologna, dove mi sono laureato nel 2007. Fin da quando mi ricordo sono stato affascinato da un luogo, altrove, e da un mezzo per raggiungerlo, il viaggio. Ho viaggiato molto, da piccolo, con i miei genitori e, non appena ho potuto, ho iniziato a viaggiare in maniera autonoma; la prima volta, ormai 12 anni fa, in compagnia di Pietro – un altro imolian (Pietro dallOlio, www.ilnuovodiario.com/imolians.cfm?wid=7242 n.d.r.) – calcando le ferrovie di mezza Europa in interrail. Durante luniversità ho fatto un anno in Erasmus, a Aarhus, in Danimarca. Non che avessi dei dubbi, ma quellesperienza mi convinse circa le mie aspirazioni: stare lontano, conoscere nuovi posti, vivere la società che mi accoglie, prenderne il meglio – in termini di relazioni sociali e di spazi di benessere a disposizione – ma senza innamorarmi ciecamente di nessun posto, senza mai pensare “qui potrei mettere radici”. Una volta finita luniversità, nella mia ricerca un po velleitaria di fare viaggi che non fossero semplici vacanze, ho preso la mia bicicletta e sono andato in Turchia; unesperienza difficile da riassumere in poche parole ma che mi ha lasciato con la convinzione che il mio equilibrio è lequilibrio di un ciclista sulla sua bicicletta: se mi fermo cado. Quindi vado avanti. Avanti verso un anno di servizio civile allestero, in Zambia, curando la logistica di una casa famiglia e di due progetti educativi e di inserimento al lavoro per bambini e ragazzi portatori di handicap, con la Comunità Papa Giovanni XXIII. Africa quindi. LAfrica della savana, delle case in paglia e fango, della povertà più estrema. Ma anche lAfrica in cui ci si può divertire, in cui la gente è allegra e ospitale, in cui puoi passare splendidi pomeriggi parlando di calcio e bevendo birra nelle peggiori bettole delle bidonvilles che contornano la città in cui vivevo, Ndola. Alla fine del mio servizio, sempre per fare un viaggio che non fosse una vacanza, sono tornato in Europa via terra, seguendo più o meno tutta la costa occidentale dellAfrica. Ho visto cose che voi umani fatichereste a immaginare; mi sono fatto fregare e ho fregato chi voleva fregarmi; ho viaggiato stipato in taxi da cinque posti in cui ci si stava in dodici, appollaiato in cima a un camion, ma anche in confortevoli vetture delle Nazioni Unite. Ho visto la cattedrale più grande e inutile del mondo (a Yamoussoukro, capitale della Costa dAvorio), ho visto i parchi della Nambia, ho visto città enormi e affascinanti come Kinshasa, Brazzaville, Bamako o Abidjan. Ho trovato un passaggio di circa 2.000 chilometri attraverso Mali, Mauritania e Marocco, sul furgoncino di tre giovani evangelici che non avevano capito granché dellAfrica. Poi sono tornato e ho avuto la fortuna di trovare in brevissimo tempo un posto in Mauritania, a Nouadhibou, come capo-progetto per una Ong di Palermo, il Ciss-cooperazione internazionale Sud Sud (www.cissong.org). Il mio compito era quello di aiutare delle cooperative e associazioni a ottenere un finanziamento messo a disposizione dal Ministero degli esteri italiano e a gestire correttamente quel finanziamento. Un ruolo ingrato, vista la pochezza del livello associativo e della cultura democratica in Mauritania, così come un Paese non esattamente stimolante dal punto di vista sociale, culturale e, una volta fatto locchio al deserto, paesaggistico. Però ci stavo bene, mi ero costruito una quieta quotidianità che non diventava, tranne che in rari casi, una routine noiosa. Dopo un anno e mezzo, tuttavia, è stato tempo di cambiare aria: di affondare le radici nella sabbia sporca del Sahara urbano proprio non ne avevo voglia. E così di nuovo in sella alla mia bicicletta a conoscere in presa diretta gli Stati Uniti, da New York al Texas, e poi il Messico. Una puntatina veloce al World Social Forum, che questanno si è tenuto a Dakar, poi un altro contratto, un altro biglietto (di nave, questa volta) e quattro mesi in una Tunisia che cerca di dare un senso, fra mille difficoltà, alla rivoluzione che ha appena vissuto e che tante speranze ha generato in tutto il mondo arabo. Missione invero difficile, le pressioni sono tante e difficili da comprendere: islamismo, eminenze grigie del partito, ormai sciolto, del Presidente Zine Ben Alì, neocolonialismo che si mettono di traverso a una rivoluzione che non ha mai capito bene la propria identità e sulla quale in molti han cercato di mettere il cappello. Se mi manca qualcosa dellItalia? Difficile non trovarsi daccordo col nostro presidente del consiglio, nel giudicarla da lontano. Mi manca Imola? Non proprio: non ho nostalgia e ormai è facile restare in costante contatto con le persone care, quelle che stanno a Imola e quelle sparse per il mondo. Ogni volta che torno, tuttavia, è un piacere ritrovare la mia piccola città, ordinata, pulita, a misura di cittadino e allavanguardia. Sì, ogni volta che torno, Imola è sempre più bella. Peccato non faccia per me: troppo ordine, troppe cose facili. Io cerco altro. Cerco il paradiso, né più né meno. Un mio paradiso personale, che abbia tutto quello cerco per il mio benessere. Quando lo trovo vi faccio un fischio. Elmar».