12, Luglio, 2025

Kenia Dall’Osso ripercorre le tracce del padre

Questa volta la rubrica “imolians” è dedicata ad Amilcare Dall’Osso, un imolese emigrato nella seconda decade del 1900. Come nasce questa testimonianza? Chi scrive è stata avvicinata giorni fa in centro a Imola, per la precisione in via Giudei, da una signora che le porgeva una macchina fotografica chiedendo in un italiano un po’ stentato, dalle chiare inflessioni spagnole: “Mi scatterebbe una foto davanti a questa casa? Qui è nato mio padre”.
E’ iniziata così una conversazione che ha portato a quanto potete leggere qui di seguito.
Occorre ricordare che tra la seconda metà dell’800 ed il 1975 si stima siano arrivati circa 40mila nostri connazionali in Cile. Attualmente sarebbero oltre 150mila gli italo-cileni e 800mila i residenti in Cile che annoverano qualche (lontana o vicina) ascendenza italiana. Ma veniamo a quanto ci ha raccontato la signora di cui sopra.

«Mi chiamo Kenia Dall’Osso, sono nata e ho sempre vissuto in Cile, ma mio padre, Amilcare, era imolese, nato in vicolo Giudei nel 1898. Non è la prima volta che vengo a Imola. Sono stata in passato all’anagrafe per vedere il suo certificato di nascita, ho visto che era stato iscritto come “Amilcare Alessandro Giuseppe”. Ho visto così la firma lasciata dal nonno all’atto della registrazione e mi sono emozionata molto, come spesso mi è accaduto venendo qui, perché mio padre mi parlava dei posti che io ho poi visitato. Lui partì per il Cile giovanissimo e lavorò inizialmente a Santiago come aiutante di bottega della famiglia imolese Buscaroli. Non ne sono certa, ma credo sia partito dall’Italia con un amico, Aurelio Foronci.
Nel 1925 lo raggiunsero la sorella con il marito e già c’era pure l’altro fratello. Lasciarono a Imola la loro mamma, mia nonna, che chiamarono nel 1941 perché lei pure li raggiungesse, ma la nonna non arrivò mai in Cile: morì nel corso del viaggio, nell’affondamento della motonave Orazio della Navigazione Generale Italiana, che svolgeva servizio di trasporto passeggeri sulla linea Genova- Valparaiso. L’Orazio si incendiò proprio durante quel viaggio davanti alla costa catalana, dopo aver lasciato il porto di Genova, con a bordo un migliaio di persone, fra passeggeri ed equipaggio, dirette a Valparaiso. Arrivarono navi militari francesi e transatlantici italiani ma le operazioni di salvataggio furono molto difficoltose a causa delle brutte condizioni del mare e oltre un centinaio di persone morirono mentre l’Orazio si perse nei flutti marini, andando completamente distrutta. La nonna era tra loro, non si salvò e la sofferenza per questa tragedia segnò molto mio padre anche perché si sentiva un po’ responsabile: aveva insistito perché la madre affrontasse quel viaggio… Di riflesso anch’io ho sofferto per la perdita di una nonna che non ho mai conosciuto, ma che ho imparato ad amare dai racconti di mio padre.
A Santiago lui conobbe Rachele Mondino Ramos, anche lei figlia di emigranti di origine italiana, di Mondovì, che vivevano in Argentina e godevano di una buona posizione economica. Si sposarono e nacque mia sorella. Nel ’30 vennero in viaggio in Italia portando anche la bimba, che allora aveva tre anni, e sono rimasti per sei mesi. Io non c’ero ancora… sono nata nel 1937, dieci anni dopo mia sorella. Viaggiarono su quella stessa Orazio che poi sarebbe affondata con la nonna.
In Cile mio padre ha portato avanti un’attività di esportazione di frutti esotici (annona, avocado e lucuma ad esempio). È morto il 6 settembre del 1964 a 65 anni: sebbene io fossi già sposata e avessi quattro figli, con lui è partita una parte di me. Lui parlava spesso di Imola. Ricordava la sua infanzia, l’amore per la mamma, il lavoro di suo padre, che faceva il barbiere e durante la guerra fu autista di un generale. Mio padre mi raccontava che talvolta il nonno portava a spasso con la macchina la moglie, che si divertiva molto vedendo gli ufficiali salutare militarmente pensando che nell’auto ci fosse un generale. Ricordava se stesso da bambino, vicino alla madre e alla nonna che gli faceva schiacciare le noci e che gli chiedeva di fischiare per assicurarsi che non le mangiasse. Era un uomo tranquillo con ricordi sereni. Sia lui che la sorella e il fratello si abituarono presto agli usi e costumi del Cile, così come accadde a tanti altri loro amici italiani. Ma parlava spesso del suo Paese e del calore della gente italiana. Ed io ho sempre immaginato l’Italia così, come lui la descriveva e come la vedevo nelle foto. Sono venuta a Imola la prima volta nel 1990, ospite di mia cugina, Gaby Dall’Osso Franchini, ed ho visitato la città cercando di ritrovare i luoghi che lui ci descriveva. Da allora sono tornata altre cinque volte. Nei miei primi miei viaggi in Italia ho visitato buona parte dell’Emilia Romagna ed anche Roma e Firenze, spesso accompagnata da mia cugina Gaby. Quest’anno il mio viaggio è iniziato a Roma, in occasione delle cerimonie per la beatificazione di Papa Wojtyla, e sono stata a Capri e a Firenze prima di venire a Imola. Questa volta sono ospite della figlia di mia cugina, Cristina Franchini. Prima di ripartire visiterò Venezia. Purtroppo non ho mai avuto occasione di portare qui nessuno dei miei quattro figli. Quando erano più giovani giocavano ad hockey allo Stadio italiano, vincevano spesso e tutti li chiamavano “Dall’Osso”, sebbene il loro cognome sia ovviamente un altro, quello del padre. L’amore per questo paese non è facile da trasmettere, ma loro sanno quanto sia importante per me, anche se in Italia non potrei restare definitivamente perché in Cile ci sono i loro e i miei nipoti».

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