13, Luglio, 2025

Riccardo Neri dalla Thailandia in sommossa

Star lontani dalla Thailandia e soprattutto dalla sua capitale: era l’indicazione del ministero degli Esteri che nei giorni scorsi scoraggiava i turisti che al fascino delle spiagge esotiche stavano pensando per le loro vacanze. Tutti abbiamo visto in tv le immagini di Bangkok devastata dagli scontri tra esercito e manifestanti in camicia rossa legati all’ex premier Takhsin Shinawatra. Il bilancio parlava di una cinquantina di morti e qualche centinaio di feriti. La protesta delle camicie rosse era divampata anche a Pattaya, dove è stato invaso l’edificio in cui si teneva il summit dei paesi del sud est asiatico e dove era stato messo in atto il coprifuoco. I sostenitori di Shinawatra chiedevano le dimissioni del primo ministro Abhisit Vejjajiva e nuove elezioni, il premier non intendeva lasciare il suo posto.
A Pattaya risiede un “imolian”, Riccardo Neri, titolare di un ristorante con annesso un piccolo hotel e di un bar gelateria. A lui ci siamo rivolti per sentire come stiano le cose.

«Posso dire – racconta Riccardo – che mentre i media riprendevano le barricate e i falò della capitale, la vita intorno si svolgeva come niente fosse. Quella che poteva sembrare una rivolta popolare o una guerra civile era in realtà una situazione circoscritta ad un quartiere o ad una piazza. Poche migliaia di persone in sommossa in una metropoli di 15 milioni di abitanti non si sarebbero neanche notate se non ci fossero state tv e giornali… Questo per far capire che i turisti non sono minimamente coinvolti in queste vicende. Per contro, il settore turistico non se la passa bene (me compreso) perché notizie di questo tipo, con il nostro metro di giudizio occidentale, è normale facciano desistere da un viaggio in Thailandia.
A me è capitato, nel 78 o 79, di essere messo con un amico imolese su una barchetta, dopo che ci avevano requisito del corallo nero e qualche dollaro; ci rilasciarono con un documento firmato “comitato revolucionario de las islas Granadine”, gruppo di isole dei Caraibi.
E’stata la mia prima esperienza come spettatore di violenti disordini popolari. Di lì a pochi mesi, sempre con il mio amico “Baldo”, mi capitò di entrare in Bolivia mentre era in corso un colpo di stato: bloccati in hotel, siamo saltati su un aereo appena ci han dato il visto… Mi son ritrovato in Argentina con stato di emergenza e pure in Perù, dove Sendero Luminoso e Tupac Amaru avevano messo sottosopra il paese. Questo per dire che so bene cosa sia un coprifuoco e la differenza che passa tra una sommossa e una guerra civile. A confronto di altre situazioni, questi disordini thailandesi mi sembrano una farsa. Qui comandano l’esercito e la polizia; non ha un gran spessore il primo ministro, messo lì provvisoriamente dopo l’ultimo colpo di stato, quando fu cacciato Taksin, che aveva vinto regolarmente le elezioni. Qui non esiste democrazia, la libertà di espressione è un’utopia ed è impensabile criticare; chi lo fa, difficilmente incappa una seconda volta nello stesso errore. Non si può criticare il governo e men che meno il re (considerato fino a poco tempo fa una sorta di divinità vivente. In un paese in cui non esistono scioperi né sindacati è praticamente impossibile assistere a dei tumulti popolari così eclatanti come l’occupazione dell’aeroporto di Bangkok, uno dei più grandi e importanti del sud est asiatico, da parte di gruppi di persone esaltate come partecipassero a un party: per più di due mesi migliaia di persone hanno scorazzato nella capitale giocando a far la guerra, questo è stato possibile solo grazie alla tolleranza e all’aiuto di polizia e forze armate. Poliziotti e militari messi a libro paga: non fosse stato così, i disordini sarebbero stati soffocati sul nascere e forse non ci sarebbero stati “solo” una cinquantina di morti in quasi tre mesi di contestazioni e scontri. Nessuno mi toglie dalla testa che a dirigere i lavori per incendiare i 33 edifici importanti di Bangkok abbiano provveduto dei professionisti e non dei cittadini inferociti. Qualcosa di buono forse si è messo in moto: la consapevolezza di poter contare qualcosa e un processo di rinnovamento storico per questo paese. La famiglia reale non è più vista come al di sopra delle parti, ma coinvolta fino al collo in queste lotte di potere; in oltre sessant’anni di regno ci son stati oltre 15 colpi di stato andati più o meno a segno contro chi era incaricato ufficiosamente a governare. Ciò che a noi può sembrare eclatante, qui è abbastanza normale.
Venite a trovarci! Riccardo».

 

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