13, Luglio, 2025

Chiara Suzzi non ha deluso le speranze della nonna

La centotrentunesima imolian vive nel sud della Francia, a Montpellier, capitale del Languedoc-Roussillon e del dipartimento dell’Hérault. Chirurgo-pediatra, Chiara Suzzi è una neo mamma e trova pure il tempo di tirare la sfoglia.

«Eccomi qua: Chiara Suzzi da Monpellier. Il bebè dorme. Gli uomini hanno mangiato a sazietà. In frigo si sta raffreddando il mascarpone per domani, che qua si ostinano a chiamare tiramisù, bah…
E’ tutto a posto. Me l’aveva scritto mia nonna come dedica del libro “Pasta e fagioli il venerdì” di Anna Andrini: «Alla mia carissima Chiara, augurandole di diventare una brava arzdora oltre che una brava chirurga». L’ho poi imparato in Kenya, durante il mio primo soggiorno lungo lontano da Imola: in caso di nostalgia feroce, basta un matterello lungo. Si fa presto a riprodurre il profumo della pasta all’uovo della domenica dalla nonna. Le uova e la farina le trovi dappertutto. E’ il matterello lungo che all’estero non si trova neanche a piangere!
E mi ritrovo, a trent’anni suonati, chirurgo pediatra a Montpellier da ormai un anno e mezzo, col mio inseparabile matterello nella sua custodia di stoffa a stampa romagnola, pronto per i momenti bui, per quelle domeniche in cui manca la Messa delle 11 ai Cappuccini con Saverio che canta, manca l’apparecchiare l’enorme tavolata dalla nonna in attesa che arrivino tutti e la ’musica’ delle macchine di Formula Uno che cullano il riposino del pomeriggio sul divano. Vengo dall’unica città al mondo dove i bambini quando giocano a macchinine non fanno “brum brum” ma “mee mee”. E ne vado fiera. Del resto quando mi chiedono di dove sono originaria io dico di Imola e non d’Italia! Gli imolesi credo siano un po’ così. Prima di tutto imolesi, poi sicuramente romagnoli. Ah sì! anche italiani. E sono anche molto fiera che il mio bimbo di due mesi, nel momento in cui l’ho iscritto all’Aire (l’archivio degli italiani residenti all’estero) sia stato registrato nel comune di Imola. Perché gli imolesi ovunque si trovino non possono fare che imolesi, ovviamente! Buon sangue…
Ho vissuto a Imola fino all’età di 18 anni. Le elementari al Sante Zennaro, le medie alle Orsini e le superiori al liceo classico. Poi una pausa ferrarese di undici anni per università e scuola di specialità, periodo in cui ho fatto anche tante capatine in giro per il mondo fra Africa e Francia. A Montpellier ero venuta la prima volta nel 2006 per uno stage professionale di sei mesi. Avevo studiato francese a scuola, alle medie con il professor Bosi che mi ha dato basi grammaticali che ho scoperto poi essere solidissime malgrado il mio scarso interesse di allora, e alle superiori con la professoressa D’Angelo alla quale sono grata per la sua full immersion nella letteratura e nella cultura, che mi avevano intrigato già allora. Ho pensato a volte di far loro uno scherzo, chiamandoli al telefono e parlando in francese con la mia pronuncia attuale per ringraziarli, poi mi sono vergognata e non l’ho fatto, ma devo davvero ringraziare entrambi perché da allora non ho più fatto corsi di lingua e non ho avuto grandi difficoltà arrivando qui.
Ho solo ’sorriso’ per un mese, poi improvvisamente ho cominciato a parlare. Devo dire che nella Francia del sud, a differenza di quanto accade a Parigi, sono molto pazienti e fanno anche degli sforzi per comunicare con gli stranieri. Del resto dicono che il francese non sia molto diverso dal dialetto. Le pié (scritto “pied”) è il nostro ’e’ pié’, ma le buchèn (scritto “bouquin”) non è niente di scabroso, trattandosi invece di un semplice libro…
Sono tornata a Montpellier nel maggio del 2008 perché da un lato sentivo di non avere “rubato” tutto quello che potevo guadagnare dal punto di vista professionale dall’ospedale, poi avevo anche conosciuto un bar-man che faceva un caffè particolarmente buono e mi mancava un po’… Così ho seguito qui l’ultimo semestre di specialità, grazie ad una borsa di studio dell’Università italo-francese. Ho scritto la tesi in due lingue e alla fine mi hanno proposto di tenermi come ’chef de clinique’, che corrisponde alla fellow-ship anglosassone.
In Italia, dopo il diploma di specialità, la sola proposta lavorativa consisteva nell’attendere un anno senza stipendio prima di sperare di avere un contratto, e francamente pure un po’ miserello… Ho preferito continuare a crescere professionalmente in un grosso centro e per giunta ben pagata. Poi siamo cresciuti anche in famiglia visto che Arturo ha deciso di nascere il 19 luglio scorso. Mia nonna dice che ogni bambino porta il suo fagottino (di fortuna). Beh… intanto ho perso il lavoro. Credo che la gravidanza non sia giudicata bene neanche qua ed in questo la Francia è sorprendentemente identica, ahimé, all’Italia. E’ vero anche che in Francia nel mio campo, attirati da una medicina obiettivamente di alto livello e sinceramente anche da stage remunerati, sono tanti gli stranieri che passano: magrebini, libanesi, siriani, ma anche tedeschi, spagnoli… Ed è un classico che lo straniero venga “usato” per tappare un buco prezioso in attesa di occuparlo con un autoctono. Resta il fatto che mi ritrovo di nuovo a sparpagliare curricula per il mondo. Che peccato, qua sto proprio bene! Mi sono integrata alla perfezione, ho la casa sempre piena di gente e c’è il mercato tre, dico, TRE volte a settimana! Il lato positivo è che posso occuparmi un po’ più a lungo del mio bebè in attesa di trovare un altro posto, ma prevedo un altro bel trasloco, difficilmente in Italia. E ricomincia il nomadismo della Suzzi: il fagottino lo si lega stretto al matterello, si carica tutto sulla spalla e si riparte.
Chissà se tornerò mai a vivere a Imola. Se fossi un uomo credo proprio che sarei tornata a casa, perché per un uomo forse è difficile imparare a tirare la sfoglia.
C’è un’altra cosa che mi manca: le francesi non sono molto brave a fare le grandi amiche. Meglio tenersi quelle italiane.
Chiara».

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