La schiera degli “imolians” londinesi si infittisce: Jacopo Zani, 35enne, dopo esperienze a Torino e a Milano da un anno lavora a Londra alla Barclays, azienda di servizi finanziari e Banca d’investimento internazionale presente in tutti i principali mercati del mondo.
«Ho frequentato il liceo scientifico Valeriani di Imola, del quale ho bellissimi ricordi. Appassionato di fisica e matematica, materie nelle quali ho sempre conseguito ottimi risultati al liceo, mi sono laureato alla facoltà di Fisica a Bologna a 23 anni. Allora le mie idee non erano assolutamente chiare su cosa avrei fatto in seguito. Ero deluso dall’ambiente accademico (diciamo… “al di là della cattedra”, dove onestamente la fisica, gli articoli pubblicati e la ricerca rappresentavano davvero l’ultima chiave di valutazione dell’attività di un docente o ricercatore). La mia prima esperienza di lavoro fu a Imola alla Sacmi, inizialmente come stagista, nel 1996. Il mondo del lavoro era molto diverso da quello accademico. Imparai a lavorare in team, a programmare e, soprattutto, a risolvere problemi pratici con i quali all’università non avevo avuto modo di confrontarmi. Dopo un anno e mezzo mi prese la voglia di tornare nel mondo accademico, proprio quello che prima non avevo apprezzato. Ebbi occasione di leggere che molti fisici a New York e Londra entravano nel mondo della finanza. Io non avevo conoscenze sull’argomento e mi buttai a studiare vari testi; dopo aver appreso i primi rudimenti approfondii molti aspetti matematici su quanto riportavano… Diedi vari concorsi per dottorati e masters e ne vinsi uno in matematica finanziaria a Torino, dove mi trasferii con molto entusiasmo. L’esperienza mi piacque moltissimo. A fine ’99 ricevetti una proposta dall’allora “ufficio studi” di Banca Imi e mi spostai a Milano dove rimasi sette anni. Il lavoro era molto interessante.
Ma da tempo ero incuriosito da quello che era il Gotha della Finanza, Londra. Mancava solo il coraggio di tentare… Mi sono deciso a sostenere alcuni colloqui a Londra e un bel giorno Barclays Capital mi ha fatto un’offerta. Un po’ titubante e intimorito all’idea di fare un salto del genere ho accettato ed ora lavoro nella “City” presso Barclays Capital, dove mi occupo di Counterparty Risk, cioè mi trovo a valutare l’esposizione che la banca ha con le controparti, calcolando mediante modelli probabilistici quale potrebbe essere la massima perdita potenziale in caso di default della controparte (argomento molto attuale oggigiorno). Il lavoro mi piace molto, mi confronto quotidianamente con persone di tutto il mondo, con cinesi e arabi e con le altre sedi della banca a New York, Hong Kong e Singapore.
Dal punto di vista lavorativo purtroppo l’Italia non è paragonabile a Londra. Il mondo del lavoro qui è molto più meritocratico e flessibile e in particolare è il metodo di lavoro ad essere diverso. Si lavora per obiettivi e tutto il team deve raggiungere l’obiettivo, ognuno con le proprie competenze e capacità. Non ho mai visto nessuno tirarsi indietro o evitare una richiesta di aiuto. Qui si viene valutati ogni sei mesi e a 360 gradi, ogni componente il team, dal capo all’ultimo arrivato, esprime un giudizio scritto su di te: se questo è positivo avanzi, ti promuovono, ti danno maggiori responsabilità. È tutto molto più concreto e pratico che in Italia, le cose si progettano, si pensano e poi si mettono in pratica, a qualsiasi costo. Si preferisce fare, realizzare anche in maniera non perfetta, piuttosto che abbandonare un progetto perché non porta ai risultati inizialmente ipotizzati…
Mi rendo conto che in effetti se si vuole avanzare di deve agire in questo modo: il sistema italiano invece tende a lasciare perdere un progetto se a metà strada qualcosa va storto. Qui occorre lavorare portando risultati, bisogna essere disposti a considerare il proprio lavoro come fonte di soddisfazione. Se però per qualche motivo si cala di rendimento, o non si è in grado di svolgere una mansione o di portare a termine un progetto o più progetti (gli stimoli qui sono tanti!), cominciano le dolenti note: il sistema non è per nulla garantista, un paio di valutazioni negative e sei licenziato. Questo è un mondo brutale, basato sulla competizione, la cui legge è fatta così. Premia i migliori, ma penalizza i meno bravi. Io mi trovo bene, sono rispettato e considerato, la banca apprezza ciò che faccio; lavoro molto, ma non mi accorgo del tempo che passa, mi sembra ieri il momento del mio arrivo a Londra con uno zaino in spalla senza una casa, senza un amico… e due giorni dopo dovevo cominciare a lavorare nella City.
Dell’Italia qui mi manca la cultura, intesa come cultura di un popolo, mi manca l’importanza che la cultura italiana dà alle piccole cose, al pranzare insieme, al chiacchierare attorno ad un tavolo. A Londra le persone di fatto si “aprono” e parlano di se stesse solo quando hanno bevuto almeno tre birre in un pub, altrimenti c’è un muro insormontabile fra te e loro. Per quanto mi riguarda la distanza, non fa molta differenza essere a Milano o a Londra, in due ore di volo posso essere all’aeroporto di Bologna o di Forlì.
Perché tanti italiani scelgono di lavorare all’estero? Sicuramente per l’esigenza di molti di realizzarsi nella propria attività lavorativa, per ambizione (che in Italia purtroppo non riesce sempre ad esprimersi soprattutto per chi studia), ma soprattutto per la curiosità, che fa parte del carattere di alcune persone. C’è chi resta in Italia, magari poco soddisfatto della propria situazione lavorativa, trovando una compensazione in altre cose. Conosco amici ed ex colleghi che vorrebbero lavorare a Londra, ma quando arriva il momento di fare il grande passo si tirano indietro. Per alcune persone, invece, la curiosità diventa la vera fiamma della vita.
Jacopo Zani».