12, Luglio, 2025

Letizia Ronchi: «Ho visto medici israeliani curare palestinesi»

Ecco l’esperienza di Letizia Ronchi a Tel Aviv, sulla costa del Mar Mediterraneo. Letizia è lughese ed è figlia del sostituto commissario della Ps di Imola. E’ rientrata da Israele il 29 agosto, dopo essere stata a lavorare un mese e mezzo accanto al dottor Jacoov Or, direttore del dipartimento di urgenza del Sheba Medical Center, la più grande struttura ospedaliera del Paese, sede dell’università, nata come ospedale militare e come centro di riabilitazione e cure intensive per i soldati feriti in battaglia. Fu il dottor Ov a far da tramite, nel ’94, fra il sistema sanitario israeliano e il nostro e da questo contatto nacque, anche con la collaborazione della regione Emilia Romagna, un programma teso a formare nuovi medici di Medicina d’urgenza, alla luce dell’esperienza degli israeliani in questo campo.

«Sono Letizia Ronchi, studentessa alla facoltà di medicina dell’università di Bologna, dove sto per iniziare il sesto anno. Sono nata a Lugo ed ho 24 anni. Sono appena rientrata da un mese e mezzo trascorso in Israele, a Tel Aviv dove, con un programma inserito nel contesto di un progetto dell’università di Bologna, ho frequentato e ho lavorato nel reparto di Medicina d’urgenza del Sheba, l’ospedale più grande del Medio Oriente, dove vengono trattati pazienti vittime degli attentati terroristici, oltreché pazienti di ogni sorta. Due i motivi che mi hanno spinta a fare questa esperienza: capire se realmente la Medicina d’urgenza poteva essere la mia professione futura e rivisitare e conoscere i luoghi in cui la nostra tradizione cristiana ha avuto origine 2000 anni fa. Prima di partire, così come nei giorni in cui ero in Israele, le mie domande, il mio desiderio di conoscere nell’ambito medico come nell’ambito umano tutte quelle diverse culture aumentava… tanto che mi riscoprivo sempre più attenta a qualsiasi piccolo particolare. Pensavo che dall’incontro con un bimbo di cinque anni che per strada a Gerusalemme vendeva granite o con un cameriere arabo che si sedeva a pranzo accanto a me raccontandomi la sua storia, la mia vita potesse arricchirsi… e così infatti è accaduto.
E’ difficile dire cosa sia stato per me questo periodo in Israele: quando mi è stato chiesto di scrivere la mia testimonianza la prima parola che mi è venuta in mente è stata “incontro”… Infatti è stato proprio così, un incontro continuo, un incontro dopo l’altro… Ma due sono stati gli incontri che mi hanno insegnato qualcosa e lasciato un segno, oltre ad avermi permesso di vivere ogni cosa come nuova e come possibilità per me di scoperta: quello con il dottore Antonio Pezzi, che mi ha permesso di allacciare rapporti con un suo amico, il dottor Jacoov Or – secondo incontro importante – il quale da subito mi ha ospitata, accolta e introdotta in quest’avventura, trattandomi come una figlia. E penso sia grazie anche ai vari altri incontri con arabi, cristiani, ebrei, religiosi e non, che posso dire che questa è stata un’esperienza estremamente interessante, perché mi ha permesso di entrare nel vivo di quella terra, di vivere cioè non da studente, né da turista, ma da “israeliana”. Per questo, penso, e per la mia educazione cattolica e laica, mi sono accorta di quanto quella terra, apparentemente arida, caotica e per molti aspetti incomprensibile, sia misteriosamente affascinante! Sono stata partecipe del dramma di un Paese con etnie divise da varie identità che schiacciano l’uomo e della freschezza di uno Stato che oggi compie sessanta anni. Ciò che in particolare mi ha colpito è stata l’esperienza nell’ospedale dove ho lavorato, quell’ospedale dove ho visto come concretamente la medicina sia uno strumento, un linguaggio che permette una comunicazione ed una condivisione, laddove i linguaggi e le ideologie degli uomini la rendono impossibile. Ho visto medici israeliani curare palestinesi con la stessa passione e amore (e sono certa delle parole che sto usando) che avrebbero dimostrato per i propri figli… Una cosa che ha dell’incredibile se si considera che il Paese è in guerra, o meglio non incredibile, piuttosto … semplicemente ’umano’! Là mi sono sentita subito’a casa’, perché accolta continuamente, in ospedale come a casa, dall’affetto degli israeliani, che sono un popolo che ha molto da dare e da offrire. Sono persone essenziali, con poco fanno molto, non si perdono nelle formalità che a volte cristallizzano i rapporti….Sì, sono essenziali: ho riscoperto con loro la bellezza della natura, la semplicità di un tè bevuto in spiaggia al tramonto, preparato con fornellini a gas portabili, ho riscoperto il suono del silenzio e la bellezza del cielo. L’Italia non mi è mancata, o meglio, non ho avuto il tempo di accorgermene! Mi piacerebbe tornare a Tel Aviv, e nei miei sogni c’è quello di recarmi di nuovo in quel posto per preparare la mia tesi di laurea. Chissà…. spero di potervi aggiornare su un mio prossimo ritorno in Israele! Letizia».

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