Ecco uno studente doc, di quelli con tanta voglia di fare, di imparare, di affacciarsi su nuovi orizzonti: Daniele Westig, cresciuto “bilingue” in Germania, liceo scientifico a Imola e studi universitari di Economia in inglese alla Bocconi di Milano, ci scrive dagli Usa, dove si trova da cinque mesi. Della sua mamma, Amedea Pelliconi Westig, “imolian” a Colonia, vi abbiamo proposto la storia a gennaio del 2007.
«Il destino mi ha fatto nascere in Germania, a Colonia, da mamma imolese, anzi, “imolian”, e padre tedesco. Mi sono trovato ad affrontare dalla nascita gli oneri e, spero, in futuro gli onori… della mia doppia nazionalità. Già le prime parole che ho balbettato mi venivano insegnate “doppie”, da mamma rigorosamente in italiano e da babbo in tedesco. Tedesco era l’ambiente in cui ho mosso i primi passi e sono cresciuto. Per far contenti tutti, la mia prima parola è stata “AUTO”, che ha lo stesso significato in entrambe le lingue! Ho vissuto a Colonia fino ai 14 anni, là ho frequentato le scuole elementari e il ginnasio (entrambi di stampo ed educazione cattolica). Facevo parte del coro e partecipavo a varie attività musicali e teatrali, suonavo il pianoforte… tutto questo mi è mancato molto quando mi sono trasferito a Imola.
Al ginnasio mi sono appassionato alla matematica, al latino, storia e scienze, materie che ho continuato a studiare anche a Imola, seppure con metodi e programmi a volte completamente diversi. Al Liceo scientifico Valeriani ho iniziato la mia esperienza italiana di studi con un po’ di timore, ma sono stato accolto con tanta simpatia e affetto dai miei compagni e dagli insegnanti e, mettendoci tutto il mio impegno e la voglia di farcela, mi sono diplomato e sono poi approdato alla Bocconi a Milano.
La voglia di internazionalità deve in qualche modo far parte del mio “Dna” e questo mi ha spinto a scegliere la facoltà in lingua inglese. Da subito volevo vivere un’esperienza internazionale e la mia occasione si è presentata al secondo anno di corso, quando in università si aprirono le iscrizioni per il semestre all’estero. Avevo optato per varie università californiane e, dopo una lunga attesa, mi è stato comunicato che potevo entrare a Berkeley, con altri otto “bocconiani”, ammesso al programma di Scambi internazionali Bocconi affiliato all’Education Abroad Program) della University of California. Che bel momento quando ho saputo di essere stato accettato nell’università statale più importante d’America! Sono partito dall’Italia l’11 gennaio… verso l’ignoto. La mia conoscenza dell’America derivava solo dai film, quella della California principalmente da Baywatch e un po’ da O.C….
Appena atterrato ho notato che alcuni stereotipi sono pienamente confermati, come il fatto che agli americani piace tutto in versione “extra large”: l’esempio più lampante sono le automobili che devono per forza essere giganteschi pick-up S.U.V. o fuoristrada.
Sto completando qui il terzo anno di triennale che mi porterà alla laurea a fine settembre. Frequento principalmente corsi di business ed economics, ma non ho saputo rinunciare ad un corso di storia, materia che mi ha sempre appassionato. Oltre a seguire interessanti corsi universitari, il motivo della mia partenza è stato “vivere l’America” in quanto tale.
Il campus di Berkeley è proprio quello che ogni studente sogna per la sua università: perfettamente integrato nella cittadina sull’altra sponda della baia di San Francisco, è comunque un mondo a parte fatto di studenti, professori e tante persone curiose che si possono incontrare solo nella città che ha dato i natali ai movimenti sessantottini. A Berkeley si respira molto l’aria anticonformista unica negli Stati Uniti, non passa giorno senza una protesta anti-Bush. Il sistema universitario è molto differente da quello che conosciamo: qui si entra in università dopo 12 anni di scuola e, una volta entrato, lo studente può confezionarsi di semestre in semestre il proprio mix di corsi, spaziando veramente in tutto lo scibile umano: poi sta a lui decidere quale strada prendere negli anni successivi, dichiarando il proprio “major”, pur avendo sempre a disposizione un certo numero di corsi liberi da seguire. Questo sistema da la possibilità di sondare il terreno e di decidere a posteriori a cosa si è maggiormente interessati. Abito all’International House, storica struttura del campus che ospita molti studenti stranieri. E’ un alloggio molto bello… però… per quanto riguarda il vitto non vedo l’ora di tornare da mia nonna per il mio piatto preferito, le tagliatelle al ragù. Con gli altri italiani abbiamo fatto gustare al resto del mondo presente qui come si prepara la pasta (generalmente sono convinti che il ragù sia una salsa di pomodoro con polpette!). In questo contesto si vive uno spirito di comunione, di fratellanza, di rispetto e di intesa come dovrebbe esserci nel mondo intero. L’I-House ha avuto un importante ruolo durante la seconda guerra mondiale, aiutando molti studenti giapponesi o di origine giapponese a sottrarsi dall’ira americana, soprattutto dopo l’attacco a Pearl Harbor. Ancora oggi si continua a vedere in questo microcosmo uno spaccato di mondo che ci può insegnare molte cose: ad esempio, San Francisco è l’unica città del continente americano ad aver ospitato la fiaccola olimpica e nell’House hanno convissuto le due fazioni contrapposte, non in un clima di guerriglia urbana, ma di genuina discussione e rispetto reciproco.
Quello che colpisce di più a Berkeley è l’incredibile varietà di persone provenienti da ogni parte del mondo. Ricordo di aver pranzato un giorno ad un tavolo di 12 persone e di essere stato l’unico europeo: la maggior parte degli studenti è di provenienza asiatica, a volte mi pare di essere sbarcato in Cina invece che in America.
Ma la mia esperienza americana non si basa solo sull’università: San Francisco, la città del Golden Gate Bridge, di Alcatraz, dei Cable Car, la più europea delle metropoli americane è a due passi da Berkeley.
La California è il paese del surf e naturalmente non ho saputo resistere al fascino di vivere per un giorno l’ebbrezza della tavola che cavalca l’onda… ammetto di esserci riuscito 4-5 volte in 2 ore di lezione e, dopo, non sentivo più le braccia! In “Road trip” sono arrivato al Grand Canyon passando attraverso il deserto del Mojave e ho scoperto l’immensità degli spazi non abitati di cui siamo abbastanza sprovvisti in Europa. Che dirvi? L’America è l’America, con le sue opportunità e i suoi grandi contrasti; qui veramente uno può sfondare con le sue idee e i suoi progetti. Sono molto contento di essere riuscito a vivere per un semestre in questo grande Paese, anche se mi mancano un po’, oltre alle tagliatelle della nonna, le lasagne e la piadina con lo squacquerone, oltre naturalmente a qualche bella sagra e festa con gli amici… emozioni che solo lo spirito di Romagna ti può dare. Saluti dalla West(ig) Coast,
Daniele».