Andrea Bacchini, 35 anni, lughese di nascita, nel 2000 diventa imolese d’adozione. Da oltre due anni risiede nella “Second City”, Chicago, la più grande città dell’Illinois, terza per popolazione negli Stati Uniti, la città con il maggior numero di ponti mobili al mondo (45), punto di riferimento mondiale per il jazz. Una città multietnica, importante centro finanziario e industriale e centro fieristico/espositivo mondiale.
«Imola ha avuto una forte influenza su ciò che faccio e sul luogo in cui mi trovo. Vi scrivo dalla “windy city”, la città ventosa, come chiamano in America Chicago, la città dove abito dal dicembre del 2005 e dove mi sono trasferito con l’allora fidanzata e oggi moglie, imolese doc. Sono arrivato qui per lavoro, per la Ceramica di Imola che, dopo cinque anni di “avanti e indietro” per gli States, stante un posto vacante di area manager per il Midwest mi diede una bellissima opportunità, l’occasione a cui fortemente aspiravo da tempo, opportunità che recentemente mi ha portato in un’altra azienda sempre del settore ceramico.
Già dopo una precedente esperienza di studio di un anno circa a Londra avevo capito che viaggiare e conoscere culture e punti di vista diversi era per me una parte importante di quello che volevo fare “da grande”.
Appena iniziai a lavorare per il mercato Usa ad Imola mi regalarono un libro (Paul Watzlawick – America istruzioni per l’uso) che col senno di poi pare profetico. Uno dei passaggi finali recitava: «Viaggiare non è facile. L’arte di soggiornare all’estero raramente si apprende nella casa paterna: anzi, l’apprendistato nella casa paterna di norma non fa che condurre al bar sottocasa. … … Chi non s’allontana da casa, ben che gli vada, riuscirà ad assicurarsi un bicchiere di vino ed un po’ di calore. Chi viaggia comprenderà – anche in questo caso con un po’ di fortuna, perché c’é anche chi non capirà mai niente – due cose: primo che la patria è una realtà, ma certamente non la realtà e che un paese straniero a suo modo è altrettanto reale e abitato da esseri umani che a loro volta ritengono che la loro realtà sia la realtà. Secondo, strettamente connesso al primo, che solo trovandosi all’estero la propria realtà diviene effettivamente comprensibile»
Con Alice, mia moglie, guardiamo spesso indietro e ci diciamo: “Quante ne abbiamo passate sinora!?”, ma subito dopo ci rendiamo anche conto che quest’esperienza non sarà certo l’ultima. Come individui e come coppia non é stato tutto facile per noi: l’inserimento, fare conoscenze in una grande metropoli… non é scontato né immediato. Siamo anche arrivati a Chicago in pieno inverno e vi assicuro che nessuno ha voglia di uscire ed “aprirsi” agli altri alle temperature che ci sono da queste parti in questa stagione! Col tempo, abbiamo iniziato a conoscere altri italiani – ebbene, sì, si torna sempre a fare gruppo – poi “outisders” che da un po’ frequentiamo e che piano piano diventano amici.
Amici o… conoscenti?! Certamente qui si sente forte il senso della temporaneità: tutti i nuovi immigrati in Usa sono sulla carta “a tempo”, tutti dicono che sono qui solo per un periodo, personale o professionale che sia, della loro vita. E questo temo influisca sui rapporti: si ha sempre l’impressione che spendersi per conoscersi sia un po’ futile «tanto se ne andranno anche questi».
In realtà, se si ha il coraggio di buttarsi alle spalle certe paure, del resto comprensibili, credo si possano fare incontri che restano per una vita, forse proprio anche perché nati in condizioni di difficoltà (mi si passi il termine, anche se ormai non siamo più fortunatamente immigranti con la valigia di cartone e il biglietto di sola andata…).
Ecco allora per me il richiamo forte a casa, ad Imola: una forte mancanza delle cose belle del nostro paese, dei rapporti umani più che delle cose materiali. Mi mancano i sorrisi di un amico di fronte ad un caffè al bar senza la frenesia della produttività americana. Ecco che, alla fine, rispondo sempre che «tornerò a casa fra un po’».
A livello professionale mi chiedo spesso cosa farò una volta tornato a Imola, qui si lavora bene e con soddisfazioni. I giovani vengono premiati per quello che sanno fare, per le loro idee e la loro energia e non si fa carriera solo perché sei amico/figlio/conoscente di qualcuno che sta sopra.
Purtroppo però in America tutto é rapportato al lavoro e alla carriera e ne consegue un indebolimento della famiglia, dell’amicizia e forse della stessa società.
Sto ancora cercando di capire questo grande Paese, fatto di adolescenti/adulti pieni di soldi, un paese che si porta dentro contraddizioni grandissime, ma pur sempre permette ad un giovane di sognare, di poterci almeno provare.
Mi chiedete quale motivazione spinga tante persone a trasferirsi all’estero: posso dire che, almeno per le persone che ho incontrato sinora, la ragione prima e più importante é stata l’obiettivo di uscire da schemi di carriera e di vita preimpostati e già definiti a priori da altri. Un tentativo di tentare almeno di confrontarsi con realtà diverse, per comprendere meglio la propria.
Vi saluto, suggerendo a tutti di includere Chicago nel prossimo viaggio negli Usa: non solo New York, Miami e Los Angeles… visitate anche Chicago, che resta la vera ed ultima città “americana”, stupenda, con una cultura non comune da queste parti.
Saluti dalla windy city,
Andrea».