10, Luglio, 2025

Suor Maria Pia, catturata dal mal d’Africa

Dal Kenia abbiamo ricevuto la bellissima testimonianza di suor Maria Pia Santandrea, partita quaranta anni fa per la missione. Suor Maria Pia ci ha mandato prima una lettera da Nakuru poi una e-mail  dalla “Casa di formazione” di Nairobi. Attualmente  vive a Elementaita alla “Casa della Speranza” quarta missione fondata dalle suore di Santa Teresa in questa zona dopo Kiirua, Timau e Machaka. Gli indirizzi tramite i quali si può contattare suor Maria Pia sono[email protected] e [email protected] , tenendo conto del fatto che solo sporadicamente ha occasione di controllare la posta, quando si reca a Timau o Nairobi, che si trovano a varie ore di automobile da Elementaita.

«Sono nata a Pontesanto nel 1938 – scrive suor Maria Pia – e per i miei primi 18 anni ho vissuto nove mesi all’anno a Pontesanto e tre a Casola Valsenio. Bei tempi! All’anagrafe mi chiamo Maria Grazia, in casa mi hanno sempre chiamata Graziella e in convento Maria Pia (anzi, non solo in convento… nel mondo!). Ho frequentato a Milano al Niguarda la scuola per infermiere professionali, a Rimini i corsi da caposala ospedaliera, a Roma la Scuola Magistrale e a Nkubu e Manà la scuola per ostetriche. Dal 1959 sono una Piccola suora di Santa Teresa del Bambin Gesù, la cui casa madre è a Imola: la mia fu una chiamata esclusivamente fatta dal Signore perché non ne avevo il minimo pensiero né conoscenza. Eccomi qui ora a dirGli ancora il mio grazie e a confermarGli che la strada che Lui ha scelto per me mi ha reso felice. Quanti sassi ha tolto davanti a me… lo sa solo Lui, io ho viaggiato nel Suo amore e perdono.
Nel 1966 il vescovo della Consolata del Kenia, monsignor Lorenzo Bessone, chiamò noi Piccole Suore nella sua diocesi. L’allora Madre generale suor Vincenza Martelli rispose alla chiamata e inviò anche me fra le prime quattro Sorelle e dal gennaio del 1967, con una pausa di sei anni, sono sempre stata in Kenia. In questo momento mi trovo in provincia di Rift Valley, distretto di Naivasha, diocesi di Nakuru, parrocchia di Gilgil: detto così sembrerebbe il posto più abitato del mondo e invece per chilometri e chilometri ci sono solo ampi spazi e verde – perché a luglio è piovuto – ma normalmente la zona è semi arida, terra vergine.
Qui c’è la “Casa della Speranza” di recente inaugurata: abbiamo 38 bambine sieropositive, ci sono in costruzione un ospedale e pure un’importante strada. Posso dire che qui c’è il futuro che diventa presente: l’Africa ha un fascino speciale, arrivarvi da turisti forse lascia sgomenti, ma vivere e crescere qui da missionari incatena il cuore e senti di amare e di voler amare queste persone, questi fratelli, e li senti davvero fratelli, e non vorresti che soffrissero così tanto. Difficoltà? Certamente la lingua ci ha lasciati all’inizio sbigottiti. Non è stata difficoltà invece abituarsi all’uso delle candele, al non avere l’acqua, il bagno, non sapere neppure, dopo venti giorni di viaggio, in quale punto esatto della Terra ci trovassimo… L’Africa ti conquista e ti fa sentire a casa. La vita dura di queste persone trasforma, fa capire che l’uomo è una persona forte, capace di sopportare, capace di ringraziare anche quando tutto sembra contro di lui: siccità, malattie, corruzione. .. “Dio mi è amico, Lui mi aiuterà”: quali lezioni di speranza e di fede si ricevono qui! Vedendo una fiammante Ferrari, una pelliccia di visone, una villa… il mio cuore diventa amaro. Vedendo una capanna, un letto di frasche con adagiato un anziano, vedendo una persona che cerca cibo nel pattume… il mio cuore impazzisce e vorrei avere mille vite per poter alleviare, amare, aiutare, stare accanto a tutti.
Tornare in Italia? Ho provato, ho sofferto… Mi manca l’Italia? No, in Italia mi manca l’aria, lo spazio, in Italia mi manca l’Africa. Ho fratelli e sorelle che amo, ma non mi mancano perché siamo in contatto con gli sms e ci sentiamo sempre vicini. Ho tanti amici e benefattori che ormai hanno messo profonde radici qui, aiutandoci a costruire e sostenere le nostre opere. La mia congregazione è qui perché vivo con consorelle del mio stesso Istituto. Imola mi manca solo nel ricordo delle bellissime processioni a maggio per onorare la Madonna del Piratello: per me è una commozione fortissima. Tornare in Italia? Io sono figlia dell’obbedienza e se sarò chiamata ritornerò, certamente non con il cuore, quello rimarrà qui. Qui, nella solitudine, nelle difficoltà, nel vivere accanto a chi materialmente non ha nulla, si impara ad essere forti, si impara ad essere figli di Dio, a sentirLo, a chiamarLo e anche a capire le Sue risposte e a gioire per ogni piccola cosa: un caprettino nuovo, il granoturco maturo, la pioggia, un bambino che guarisce, un anziano con un cuscino nuovo sotto il capo, uno che ti saluta e ti chiama “mama”. A tutti gli imolesi, ma in particolare a tutti coloro che si trovano all’estero, un saluto con affetto e una buona permanenza ovunque si trovino, donando a tutti quel calore che Imola ha nel cuore. Suor Maria Pia Santandrea»

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