10, Luglio, 2025

Fabrizio, dal Nuovo Diario a Pechino

La Svizzera non poteva mancare tra le nazioni che “ospitano” un imolese. E infatti, da Losanna ecco Fabrizio Rossini. Giornalista e superesperto di pallavolo, Fabrizio ha fatto davvero molta strada: partito dalle redazioni dei giornali imolesi, oggi è capo ufficio stampa della Federazione mondiale di pallavolo. Leggiamo di seguito la sua testimonianza.

«Mi chiamo Fabrizio Rossini e sono nato improvvisamente a Imola 43 anni fa. Ho vissuto per molto tempo arroccato sulle colline di Bergullo, dove avrei casa tuttora se non fossi finito in Svizzera. Il mio è un percorso iniziale da imolese omologato. Elementari ai Cappuccini con la strepitosa monomaestra Montuschi, medie alla Valsalva nella sezione F (quando il gelato al Nord Pol costava 100 lire, 50 il ghiacciolo), classico Rambaldi (sezione B, 5 maschi e una covata di femmine), Economia e Commercio a Bologna.
Ho comiciato al liceo a seguire la pallavolo per tutte le testate locali, compreso “il Nuovo Diario”. Da “smanettone” di computer scrivevo con uno vecchio Atari: la stampante “a margherita” ci metteva 3 minuti a figliare un articolo su A4, che consegnavo il martedì mattina rigorosamente a mano (non c’erano le e-mail) a don Giacometti. Poi ho lavorato più intensamente al Resto del Carlino (cronaca, musica, sport, di tutto…) e a “Sabato Sera”, qualche fugace articolo con “Autosprint”, poi il salto definito alla pallavolo con il mensile “Supervolley”.
Nel 1995 ho cominciato a vagare. Ho vissuto 5 anni a Parma lavorando per la redazione di “Supervolley”, che ho iniziato a dirigere nel 1996. Poi due anni a Bergamo, dove si era trasferita l’edizione. Dopo 9 anni passati allo stesso mensile, ho deciso di avvicinarmi ancora di più al campo da gioco con la Serie A maschile di volley: tre anni a Bologna come Direttore di comunicazione e sviluppo della Lega Pallavolo Serie A. In quel periodo ho sempre abitato a Imola, o meglio a Bergullo. A giugno di quest’anno sono partito per la Svizzera, chiamato come Capo Ufficio Stampa dalla Fivb, la Federazione mondiale di Pallavolo.
Dirigo la comunicazione di una delle più grandi organizzazioni sportive mondiali, tra le prime tre per tesserati e attività. Seguo di tutto, dall’attività più politica a quella degli eventi, sia di volley indoor che di beach volley, i due sport olimpici della Fivb. L’obiettivo, non semplice, è cambiare il modo di comunicare di una macchina così complicata e che fa capo a 220 nazioni. E poi mi aspetta anche l’Olimpiade di Pechino, la quarta a cui parteciperei, stavolta con un’altra mansione: non più giornalista, ma all’interno della macchina organizzativa. Il dialogo con la Cina è difficile ma molto interessante. I manager dell’Olimpiade cinese stanno facendo corsi particolarissimi alle migliaia di volontari locali, in gran parte studenti, cercando persino di cambiare certe gestualità o comportamenti che potrebbero risultare incomprensibili, quando non offensivi, per i milioni di stranieri che incontreranno nell’agosto del prossimo anno.
In ufficio la lingua ufficiale è l’inglese, idioma universale per i miei colleghi finlandesi, americani, brasiliani, islandesi… Però nel Cantone di Vaud, quello di Losanna, si parla il francese. Siccome per ora so dire solamente “oui”, mi trovano molto gentile e accondiscendente. Comprare l’auto, affittare casa, fare le numerose assicurazioni obbligatorie, aprire un conto in banca, ottenere il permesso di soggiorno, il tutto a gesti, è stato complicato.
La Svizzera ha delle regole folli. Negli appartamenti “medi”, in affitto, la lavatrice è in comune, nel seminterrato, e la si usa secondo una rigida tabella. C’è chi ha il turno una sola volta al mese, e non può acquistare un elettrodomestico personale perché disturberebbe con la centrifuga ed inoltre molte case non hanno l’apposito attacco per l’acqua. Non si può tirare lo sciacquone dopo le 22 (giuro). Ed è vietato fare alcunché la domenica, neppure stendere i panni all’aperto (sic): se lo si fa, i vicini sono legittimati a buttarteli a terra o denunciarti al condomino. Saranno paranoie, ma la mia casa, come moltissime altre, ha il suo bravo rifugio antiatomico in cantina, con porta blindata da una tonnellata.
Stare all’estero mantiene vispi i neuroni: dopo la quinta elementare sono stato un mese da solo a Londra e me ne sono subito reso conto. Anche se la Svizzera ha delle peculiarità tutte sue. Come si sta all’estero rispetto ad Imola? Mancando gli automatismi della vita “imolese”, sei sempre costretto a pensare, persino fra gli scaffali del supermercato, mentre al Centro Leonardo potrei girare a occhi chiusi e troverei sempre il “Vov”, l’unico superalcolico che conosco. Losanna è una città particolare, chi esce alle 18 dall’ufficio (non è il mio caso, ben più tardi…) trova tutto già chiuso. E’ ben diverso sapere che a una cert’ora puoi parcheggiare nelle traverse di viale Dante, o che alle 2 del mattino ai “3 Scalini” un piatto caldo si trova sempre. E poi mi manca il brivido di cambiare corsia a 7 metri dal semaforo: qui in Svizzera ti prenderebbero a sprangate. La cosa brutta, quando si rientra, sono le figuracce. Per chi è sempre restato a Imola, nulla cambia; per noi Imolians, che restiamo fuori per anni, ricordare una faccia può essere complicato e rischiamo di mancare dei saluti.
La redattrice di questa esterofila rubrica mi ha chiesto perché una persona finisca fuori dall’Italia per lavorare. Il mio compagno di banco alle medie e al liceo, praticamente un fratello, Claudio Cantalupo, è negli States da tempo (a proposito, saluto da qui anche il vecchio Simon di cui ho letto sul sito del Diario la testimonianza…). Abbiamo discusso varie volte su quali siano i vantaggi. Per noi, avere in Italia un lavoro simile a quello che ora facciamo sarebbe stato molto difficile: al contrario, in certi stati esteri non guardano alle parentele o non applicano meccanismi tutti italiani per farti fare carriera. Vale solo quello che fai. Poi, se fai un errore, ti rispediscono al mittente. Regole molto chiare.
Tornare? Può darsi. Non ho programmi a lungo termine, perché questi servono solo a far perdere i treni che passano. Ho la valigia in mano da più di 12 anni e so bene che il turnover, negli incarichi come il mio, è di solito frenetico. Nel dubbio, tengo sempre in macchina la chiave per le bici arancioni del Comune di Imola, non si sa mai.
Fabrizio»

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