Simon Teame Chierici (per gli amici imolesi “Tistina” o “Simba”), 43 anni, si aggiunge alla piccola schiera degli imolesi che si trovano a Miami. Per ora ne abbiamo scovati cinque: prima Rolando Dal Pezzo, ora Simon. Degli altri tre attendiamo la storia. Simon è arrivato a Imola da ragazzino con il fratello più grande, Tedros, proveniente da Asmara (Eritrea). Secondo i piani della famiglia il loro soggiorno doveva essere di qualche mese, invece è rimasto nella nostra città 21 anni.
«Non potrò mai scordare – scrive Simon – l’amore e l’affetto degli imolesi nei confronti miei e dei miei familiari. Se sono arrivato dove sono adesso è anche merito di tutte quelle persone che hanno sostenuto l’Istituto Santa Caterina, a cominciare da don Dino, don Filippo e da tutti i miei amici che mi hanno sempre incoraggiato ad andare avanti e a sognare senza imboccare scorciatoie pericolose. Fin da piccolo coltivavo il desiderio di viaggiare: il gioco preferito con i miei fratelli era cercare di ricordarsi il maggior numero possibile di capitali di tutto il mondo. Arrivato a Imola, saputo che a Forlì c’era l’Istituto Aeronautico, avrei voluto iscrivermi lì, ma l’anno scolastico era già iniziato ed ho optato per l’Istituto tecnico Alberghetti; passato poi al professionale, ho completato gli ultimi due anni a Faenza. Quindi mi sono iscritto all’Università e mi sono laureato in Scienze politiche. Percorso didattico esemplare e coerente ma, sicuramente, gli anni dell’Università hanno contribuito a instillare nel mio animo irrequieto la smania di approfondire e capire altri modi di pensare e soprattutto di scoprire quale fosse l’origine del pensare così diverso nei vari paesi. L’unico modo per capirlo è vivere negli stessi luoghi da dove il pensare diverso si origina, vedere con i propri occhi questi luoghi e immergersi nell’ambiente. A Imola mi trovavo benissimo: ancora oggi ho tantissimi amici che per me sono come una famiglia: anche se non ci sentiamo spesso, mantengo con loro un legame straordinario, tanto che ogni volta che torno sembra che il tempo non sia passato. Andare via non è dipeso da una mia scelta, ma piuttosto da una serie di coincidenze. Nella struttura in cui lavoravo c’è stato un cambio di gestione e i nuovi proprietari non avevano più bisogno della mia figura. Da un giorno all’altro mi sono trovato senza lavoro, così ho deciso di raggiungere in Canada il più piccolo dei miei fratelli per cercare di migliorare il mio inglese e, soprattutto, per tentare di fare un Master in Marketing. Era il marzo del 98 quando sono arrivato a Toronto: l’impatto con la grande metropoli é stato molto ‘freddo’, nel senso che fuori dall’aeroporto soffiava un vento in confronto al quale la bora di Trieste poteva sembrare una leggera brezza di mare. Un paio di giorni per ambientarmi e mi sono lanciato per le strade alla scoperta del nuovo mondo. Devo dire che i Canadesi, per quanto gli americani li prendano costantemente in giro, sono di una gentilezza esemplare. Armato di mappa e biglietto del metro mi dirigo verso l’Università per chiedere dettagli sull’immatricolazione: un’impiegata, molto gentile, mi propina assieme alle informazioni una bella doccia fredda. Se volevo incominciare il corso, a parte dovevo consegnare una sfilza di documenti, dovevo aspettare la sessione estiva, ad agosto, un lasso di tempo che sapevo di non potermi permettere. Allora accetto l’invito dell’altro mio fratello, Tedros, che dopo essere stato con me a Imola si era trasferito negli Usa anni prima. Mi proponeva di passare un periodo con lui a Houston prima di rientrare in Italia. Doveva trattarsi di qualche settimana, ho finito per rimanerci cinque anni! I primi tre ho lavorato alla Camera di Commercio italo-americana del Texas, poi ho tentato l’avventura di aprire con un socio locale un’attività di rappresentanza di prodotti agro-alimetari della Lucania. L’esperimento non ha dato i frutti sperati, allora ho accettato un’offerta di lavoro a Miami, dove mi trovo tuttora e dove mi occupo della gestione del magazzino per conto di una grossa compagnia imolese: insomma, la quadratura del cerchio. Imola é sempre nei mie pensieri!
Perché tanta gente lascia l’Italia? Forse molto dipende dalla voglia di scoprire cose nuove e fare nuove esperienze, il che è innato in ciascuno di noi. Non saprei dire se esiste una motivazione specifica, forse si tratta di una serie di situazioni, una combinazione di eventi e circostanze che ti mettono nelle condizioni di lanciarti verso altri mondi. Chi più, chi meno, tutti vorremmo essere in un altro posto. In America, a differenza che in Italia o in Europa, molte cose sono più facili o, almeno, più facilmente realizzabili. Mentre in Italia tutto è più ‘ingessato’, qui tutto è aleatorio. Se capisci come funziona il giocattolo e non lo rompi ci puoi giocare a tuo piacimento; se per caso ti si rompe non é una grossa tragedia, ne compri un altro e ricominci da capo. Lo stesso concetto si applica a tutto, dal lavoro alla vita privata alle amicizie. Qui il concetto di sindacato, protezione dei lavoratori, servizio sanitario nazionale, pensione, sono cose che si menzionano solo durante le infinite tribune elettorali: in realtà, tutto funziona sul fai da te. Come in tutte le cose della vita ci sono i pro e i contro, non é questione di quale sia il sistema migliore o peggiore, è piuttosto una questione di saper accettare le carte che si hanno in mano e giocarsele al meglio. Io ho avuto la fortuna di trovare persone che mi hanno sempre appoggiato e non so se mi sarebbe stato possibile procedere senza di loro, sta di fatto che lasciare tutto e ricominciare la propria vita da un’altra parte richiede tanto coraggio e sacrificio. Non é facile, ma una volta innescato il meccanismo é ancor più difficile tornare indietro. Quando esci dal tuo guscio, inevitabilmente cominci a vedere il tuo passato sotto un’altra prospettiva e quello che ti sembrava impossibile improvvisamente diventa possibile, tutti i limiti che inconsciamente ti impedivano di fare certe considerazioni diventano possibilità di fare. Il binario su cui viaggiava il tuo treno non è più un limite, ma il tracciato per altre destinazioni che ti porta continuamente ad altre deviazioni che tu puoi scegliere di percorrere.
A parte il lavoro, niente mi lega a Miami, tuttavia in questo momento, a meno che l’imponderabile destino mi offra altre soluzioni, sono intenzionato a rimanere. Come altri prima di me hanno raccontato al Diario, qui si sta bene, ma non é ancora il posto che posso chiamare ‘casa’ e, parafrasando una canzone di Battiato, mi viene da dire che sto ancora cercando il mio ‘centro di gravità permanente’. In realtà, ciò che mi manca di Imola non é qualcosa di tangibile, direi piuttosto la nostalgia del tempo passato. Santo Cielo, sto diventando come Casadei: ricordo le gite in motorino, le serate al bar a decidere dove andare per poi trovarsi inevitabilmente in qualche pub a fare le stesse cose di ieri, le partite a calcetto e, soprattutto, l’intimità con gli amici, il sapere di poter contare su di loro per qualsiasi cosa e in qualsiasi momento. Ciao Imola!
Simon»