10, Luglio, 2025

Una vita negli Usa per scoprire il genoma umano

Nei giorni scorsi abbiamo avuto modo di incontrare alcuni dei nostri “imolians” che si trovavano a Imola per una breve vacanza o di passaggio per viaggi di lavoro in Italia: conoscevamo alcuni di loro solo via mail e attraverso le foto che ci hanno inoltrato ed è stato piacevole conoscerli di persona. Ma di questo vi riferiremo la prossima settimana.
Continuiamo invece il nostro excursus attraverso il mondo: gli imolians si muovono anche in coppia, è il caso di Massimo Merighi, marito di Serena Landini, assistente alla ricerca in un istituto di Boston, la cui testimonianza è stata pubblicata nel luglio dello scorso anno. Leggiamo cosa ci racconta Massimo.

Massimo è nato a Imola 36 anni fa. «Ho vissuto a Conselice, ho frequentato Imola soprattutto negli anni delle scuole superiori: ho studiato all’Istituto tecnico agrario Scarabelli per 5 anni. A Imola ho compagni di studio, cugine, zie e suoceri (mia moglie Serena è vissuta a Imola fino a 27 anni).
Ho lasciato l’Italia quando avevo 27 anni, dopo la mia laurea a Bologna, per studiare negli Stati Uniti in un programma di Ph.D. (dottorato di ricerca). Ho studiato sette anni alla Ohio State University (5 e mezzo come studente poi come postdoc) e due anni (fino ad ora) alla Harvard University come research fellow. Dopo il periodo in Ohio, negli ultimi 4 anni ho lavorato come ricercatore. Ora sto cercando una posizione di assistant professor in Nord America (Usa probabilmente). Attualmente mi occupo di genomica e genetica molecolare di batteri patogeni per l’uomo alla Harvard Medical School di Boston.
Mi trovo molto bene, direi meglio che in Italia: gli Usa sono un Paese fatto di molti immigrati come me e mi hanno sempre accolto bene ovunque. È un paese dinamico, pratico, che cerca di risolvere i problemi quando si presentano. Un Paese contraddittorio, certo, e non perfetto (ma quale Paese lo è?). Un Paese che non ha paura di cambiarsi, non teme il nuovo e discute spesso aspramente, senza che chi lo fa dimentichi che tutti sono sempre… cittadini della stessa nazione. Questa è una grossa differenza rispetto all’Italia.
Non ho avuto problemi di lingua, l’ho imparata da autodidatta studiando i testi universitari americani ed ascoltando Bbc o Voice of America (di notte). Volere è potere!».
Quali differenze salienti hai riscontrato dal punto di vista lavorativo o di studio tra l’Italia e il Paese in cui ti trovi? «Le differenze sono tante e a più livelli. In generale, il lavoro e lo studio qui sono meglio organizzati, meno improvvisati, più orientati al risultato. Le persone prendono il loro lavoro seriamente, a tutti i livelli, sia nel pubblico che nel privato. A proposito, lo Stato esiste pure qui. È un mito quello dello stato americano “leggero”. Lo stato federale americano investe in una enorme burocrazia e in grossi programmi federali come Medicaid/Medicare e Social Security. Le università pubbliche americane sono tra le più importanti al mondo. Esistono ammortizzatori sociali per le fasce più basse, ma ci si aspetta che il ceto medio sia più indipendente e proattivo nel crearsi la propria rete di protezione. Questo rende tutti più dinamici, meno attendisti e dipendenti. Il carico di lavoro è più alto, ma non dispiace perché è più probabile vederne i frutti e c’è maggior remunerazione economica o di carriera. Noi italiani siamo certo ingegnosi e con maggiore spirito di sopravvivenza, forse. Ma sono tratti comuni a tutti i gruppi etnici che hanno colonizzato gli Usa, sotto certi punti di vista. Il genio degli Us è stato metterli al servizio della crescita della loro democrazia restituendo in cambio il mito potente di “life, liberty and the pursuit of happiness”.
Gli americani, pur con modeste differenze etniche, sono persone che sanno essere molto generose ed amichevoli. Non è difficile incontrare sconosciuti di entrambe i sessi che salutano quando incrociati con lo sguardo per la strada. Sono poi molto curiosi di conoscerci meglio quando vengono a sapere che siamo italiani. Idealizzano molto l’Italia.
Abbiamo amici sparsi su tutto il continente dopo 9 anni qui negli Usa. La differenza caratteriale maggiore è tra coloro che vivono in grosse zone metropolitane del nordest o della costa pacifica verso quelli che vivono in provincia.
Serena ed io stiamo ora facendo domanda di residenza permanente, la “carta verde”, primo passo verso la cittadinanza. Se sarà accettata, rimarremo qui. Ci sono maggiori opportunità di lavoro, maggiore indipendenza, più possibilità di essere felici. L’Italia è troppo lenta a cambiare e… così come è… mi sta stretta».
Cosa ti manca maggiormente dell’Italia?
«Mio padre, mia madre, mia sorella… i miei cari, insomma. Cos’altro? Mia moglie è qui con me, il Sangiovese lo trovo in enoteca (solo toscano però, non quello superiore di Romagna! Regione Emilia Romagna, che aspetti a commercializzarlo? Come on!) e la piadina la facciamo in casa sul testo… assieme alla pizza fritta!».
Secondo te qual è la motivazione che spinge tante persone a trasferirsi all’estero?
«La voglia di essere padroni della propria vita, senza dover contare su amicizie, raccomandazioni o “tangenti”». Massimo ([email protected])

 

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