Roberto Mirri, Imolians&personaggio
Roberto Mirri, il protagonista della storia di questa settimana, riveste un duplice ruolo: quello dell’imolese all’estero e quello del “personaggio”. Roberto è un giovane imolese che si è ben collocato nel mondo del calcio: a vent’anni giocava in prima squadra nella Fiorentina, ora milita in Belgio tra le fila del Raec Mons. A Mons, capitale della provincia dell’Hainau, vicino a Bruxelles, Roberto risiede da tre anni e mezzo; si è ben inserito, ma la nostalgia per la sua giovane moglie e per il loro piccolo Mattia e per la sua famiglia di origine traspare in modo evidente dalle sue parole. Spezziamo una lancia contro lo stereotipo del calciatore “divo”. Roberto non lo è, si sente privilegiato da un lato, ma mette sul piatto della bilancia le rinunce fatte in nome del pallone, il poco tempo da trascorrere in famiglia, da dedicare agli amici e, non ultimo, l’aver dovuto lasciare gli studi.
Il personaggio
«Ho accolto con piacere l’invito a raccontare la mia storia al “Nuovo Diario”: quando ho iniziato a radunare le idee per scrivere di me stesso, mi sono reso conto che questa era un’occasione per ritornare col pensiero a momenti ed emozioni che avevo in parte sotterrati.
Sono nato il 21 agosto 1978, orgoglioso di aver fatto in tempo a vedere la luce all’ospedale di Imola poco prima che la maternità venisse trasferita a Castel San Pietro. Ho frequentato le elementari alle Marconi, le medie all’”Innocenzo” e infine la prima e seconda classe dell’istituto tecnico industriale all’Alberghetti.
Questo per quanto riguarda a scuola. In parallelo c’era la mia attività sportiva: a 7 anni ho cominciato a giocare nella polisportiva Juvenilia, nei “pulcini”, allenato da mio padre, Meris. Poi sono passato negli “esordienti”, sempre allenato da mio padre. A 12 anni eccomi al C.A. Faenza, nella categoria “giovanissimi” prima e “allievi” poi, con continui viaggi Imola/Faenza e ritorno con il pulmino, ricordo che ci divertivamo molto durante il percorso!
A 16 anni sono stato aggregato con la prima squadra che disputava l’allora Interregionale e… caso e fortuna vollero che la Fiorentina venisse a visionarmi. Nel novembre del 1994 mi sono trasferito a Firenze dove è cominciata la “mia nuova vita”: anni indimenticabili e importantissimi, che mi hanno permesso di maturare a una velocità incredibile. Una vita tutta di corsa: sveglia alle 7 per prendere l’autobus, scuola dalle 8 alle 13, pranzo e alle 14 già partivo per l’allenamento. Alle 18 rientravo in “villa” (come è chiamata la casa dove sono ospitati i giovani del settore giovanile che vengono da fuori Firenze), alle 19.30 cena. Eravamo in 24 e, come si può ben immaginare, dopo cena c’era sempre una certa confusione ed era difficile trovare il tempo e la tranquillità per studiare. Non sono riuscito a completare gli studi, con mio grande dispiacere: a Firenze sono arrivato fino all’ultimo anno delle superiori, ma non sono stato ammesso all’esame di maturità a causa delle troppe assenze dovute agli impegni calcistici. L’anno seguente mi sono nuovamente iscritto alla quinta, ma ormai facevo parte della prima squadra e non avevo né il tempo né le capacità per poter fare due cose insieme e la scelta è caduta inevitabilmente sul calcio. Così ho abbandonato gli studi dopo aver frequentato l’ultimo anno, senza aver sostenuto l’esame di maturità e senza aver conseguito il diploma. Da Firenze tornavo a Imola ogni volta che potevo, ogni due o tre settimane, perché mi mancavano l’aria di casa e gli amici, in particolare Corrado Morsiani, mio grande amico fin dall’infanzia.
Dagli “allievi nazionali professionisti” sono passato alla “primavera” e nella stagione 97/98 in prima squadra, dove ho avuto la gioia immensa di esordire in serie A e fare alcune presenze sotto gli ordini di Alberto Malesani. Nel 98/99 ho potuto incrociare sul mio camino il mitico Giovanni Trapattoni. Poi, un altro incontro importantissimo: nel ’98 a Firenze ho conosciuto Chiara, che nel 2000 è diventata mia moglie. Ci siamo sposati a Imola nella chiesa di San Pier Crisologo, giusto dietro il campo da calcio della Juvenilia.
Nell’estate del ’99 mi sono trasferito a giocare all’Empoli, poi sei mesi a Catania. Il 9 maggio del 2001 è accaduta la cosa più bella della mia vita, la nascita di mio figlio Mattia: una gioia indescrivibile, un momento unico, che non dimenticherò mai».
Commenta Lorenzo Gasparri, presidente della Juvenilia, che conosce Roberto quando tirava i suoi primi calci al pallone: «È sempre stato un bravo ragazzo, serio e simpatico, pieno di passione e volontà. Siamo orgogliosi che abbia mosso da noi i primi passi nel mondo calcistico. Naturalmente abbiamo seguito la sua carriera, purtroppo non è stato sempre fortunato, ha subito in gioco alcuni infortuni anche di una certa entità».
L’imolian
«Ed oggi, eccomi all’estero», racconta Roberto Mirri. «Nel gennaio del 2004 sono arrivato al Raec Mons, in Belgio, alla corte di Sergio Brio, allora allenatore della squadra. Sono qui da oltre tre anni e resterò anche per le prossime due stagioni. Gioco come difensore centrale, mentre ai miei “esordi” ero terzino sinistro. Entrando nel dettaglio della mia esperienza in Belgio, bisogna innanzitutto tener conto del fatto che sono qui da solo, poiché la mia famiglia continua a vivere a Firenze per svariate ragioni che vanno dal clima allo stile di vita, dalla lingua al fatto che mio figlio frequenta l’asilo e presto inizierà la scuola elementare. Stravolgere la loro vita facendoli trasferire qui non mi è sembrato giusto.
Il Belgio? “Mattoni da tutte le parti”, è la prima cosa che ho pensato arrivando a Mons. La maggior parte delle case sono rivestite di mattoni o mattoncini e io, abituato agli intonaci della maggior parte delle nostre case, sono rimasto un po’ sorpreso. Ma non per niente il Belgio è il più grande produttore di mattoni al mondo quanto a varietà di tipologie.
I primi sei mesi a Mons sono stati abbastanza facili, ogni due settimane avevo la possibilità di rientrare a casa; con me qui c’erano, oltre a Brio, altri tre italiani in squadra e diversi italo-belgi nella società, tra cui il presidente. Vivevamo in albergo e spesso la sera ci spostavamo assieme per la cena a Bruxelles. A Mons, per svagarci, frequentavamo un centro commerciale, attività che chiude alle 20 invece delle 18 come tutto il resto qui, poiché la giornata “lavorativa” finisce presto… Alle 18.30 tutti vanno a cena, per poi andare a dormire prestissimo nonostante in estate il sole cali alle 10 di sera! La gente del posto, fatta eccezione per alcune persone di origine italiana, non è particolarmente accogliente e aperta, spesso ha atteggiamenti di freddezza e a volte sembra nutrire una sorta di risentimento verso gli italiani. Le tasse qui sono alte, tutto è tassato; per contro chi è disoccupato e vive da solo riceve aiuti e agevolazioni.
Con la stagione 2004/05, sempre con Brio come allenatore, ma senza i miei compagni italiani rientrati in Italia o trasferitisi in altri club belgi, inizia per me il calvario: prima il cambio dell’allenatore, poi un infortunio al tendine d’Achille con conseguente operazione chirurgica, poi la retrocessione in serie B. Tutto questo senza contare che ero proprio solo e che i rientri in Italia avvenivano sempre più di rado. Con l’arrivo dell’anno nuovo tutto sembrava essersi messo a posto, anche con il ritorno in Belgio di Alberto Malusci, un amico con il quale condividevo l’appartamento, ex giocatore della Fiorentina che era con me anche la prima stagione. Questo è stato il periodo migliore dal momento del mio arrivo in Belgio: avevo ripreso a giocare con continuità e con ottimi risultati, poi purtroppo mi sono infortunato nuovamente, questa volta a un rene durante uno scontro di gioco. Ancora ospedale e altro periodo buio, che per fortuna non ho vissuto da solo: i miei genitori mi hanno raggiunto e con me c’era anche Alberto. Per mia scelta ho preferito che mia moglie non venisse in Belgio nemmeno in questa circostanza: non volevo che dovesse restare chiusa in casa con il piccolo Mattia senza aver nulla da fare.
Ora le cose vanno meglio, la stagione attuale non mi ha portato infortuni gravi; ora parlo francese piuttosto bene, mi sono integrato, ho conosciuto molte persone con le quali ho ottimi rapporti, i tifosi hanno imparato a conoscermi e mi rispettano sia come giocatore che come persona. Unica nota negativa, che resta una costante da tre anni a questa parte, è la difficoltà sempre maggiore a poter tornare a casa anche solo per qualche giorno: ci riesco, quando va bene, una volta al mese e la lontananza dalla mia famiglia mi pesa sempre di più, mi manca veramente moltissimo il contatto con mia moglie e mio figlio.
Anche se da quando sono partito da Imola per Firenze nel 1994 sono quasi sempre rimasto a vivere in Toscana, Imola un po’ mi manca. Mi mancano la tranquillità e le persone care, i miei genitori, mio fratello, i nonni, i parenti in generale e gli amici che a causa del calcio ho dovuto trascurare. Ritorno a Imola di rado e di solito rimango per pochi giorni, giusto il tempo di visitare i miei parenti e, quando posso, qualche amico. Il mio più grande rammarico è di avere quasi del tutto trascurato la mia amicizia con Corrado Morsiani, amicizia alla quale tenevo e tengo tuttora moltissimo, anche se i contatti sono purtroppo molto sporadici».
Abbiamo rintracciato Corrado, che per lavoro risiede attualmente nel comasco e naturalmente ricambia l’affetto di lunga data per Roberto: «Un “grande” amico, un’amicizia nata quando eravamo piccolissimi. Roberto è sempre stato timido e riservato, tanto che da ragazzino era “negato” ad approcciare le ragazze… Insieme abbiamo trascorso la prima vacanza da soli, senza genitori, a Pugnochiuso nel Gargano, un ricordo bellissimo!».
Ritorniamo a Roberto: «Mio figlio Mattia va sempre più spesso dai miei genitori a Imola e ne è sempre felice. Non penso che in futuro tornerò a stabilirmi in Romagna: mia moglie è fiorentina, mio figlio si sente tale, del resto a Firenze mi trovo benissimo e ho molti amici, è una città in cui si vive bene. Ciao Italia! Roberto Mirri».